Perdita di chance estorsione e turbativa d’asta

SEZIONI UNITE PENALI

SENTENZA

28.03.2024 (22.07.2024) – 30016/24

(Presidente Cassano – Estensore De Amicis – Imputato Annunziata)

Massime

Non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, secondo comma, cod. pen. – abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), della legge 9 gennaio 2019, n, 3 – e il reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346-bis cod. pen. come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. t) della citata legge”.

“Le condotte, già integranti gli estremi dell’abolito reato di cui all’art. 346, secondo comma, cod. pen., potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa (in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito corruttivo), purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice”.

Motivazione1

RITENUTO IN FATTO

[il processo]

[rimessione alle Sezioni unite]

8. Con ordinanza n. 41379 del 11 luglio 2023, depositata il 12 ottobre 2023, la Sesta Sezione Penale ha rimesso i ricorsi alle Sezioni Unite, prospettando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sia in ordine alla configurabilità del concorso formale tra i reati di estorsione e di turbata libertà degli incanti o delle licitazioni private nella condotta di allontanamento degli offerenti con violenza o minaccia, sia riguardo alla possibilità di ricondurre il cd. danno da perdita di chance nella nozione di danno patrimoniale prevista dall’art. 629 cod. pen.
Esaminati gli elementi costitutivi delle predette fattispecie incriminatrici, la richiamata ordinanza ne ha evidenziato la diversità con particolare riguardo all’elemento soggettivo e all’evento, individuando nella lesione dell’autonomia negoziale determinata dalla condotta di allontanamento del privato da una gara il profilo comune all’oggettività giuridica di entrambe, in quanto tale rilevante per la configurazione di un rapporto di specialità, con la conseguente integrazione della sola fattispecie di turbata libertà degli incanti.
Fatta salva la configurabilità del concorso formale tra i due reati nell’ipotesi, pacificamente riconosciuta, in cui dalla condotta di estorsione derivi la perdita di un bene materiale, la Sezione rimettente ha individuato due diversi orientamenti giurisprudenziali relativamente alle situazioni in cui non sia riscontrabile una deminutio patrimonii apprezzabile sul piano materiale: da un lato, infatti, si è ritenuta la configurabilità di un concorso apparente di norme tra i reati di estorsione e di turbata libertà degli incanti, sulla base del rilievo che la seconda fattispecie assorbe in sé l’intero disvalore dell’evento criminoso quando il danno del delitto di estorsione consiste nella lesione della libertà di partecipare o meno ad una gara ed influenzarne l’esito, quale bene giuridico già tutelato dal reato di turbativa d’asta; dall’altro lato, si è formato un orientamento secondo cui tra i due reati sussiste un concorso formale, in ragione dei rilevanti elementi differenziali riscontrabili nell’oggetto giuridico e negli elementi costitutivi delle relative fattispecie.
Entro tale prospettiva, la Sezione rimettente ha posto in rilievo la necessità di ricostruire, alla luce della elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale sviluppatasi nel settore civile, il corretto significato da attribuire alla nozione di chance, per stabilire se nel danno del reato di estorsione rientri qualsiasi perdita di chance o soltanto quella delineata dalla giurisprudenza civile, che a tal fine presuppone l’accertamento di una concreta e consistente possibilità di conseguire vantaggi economicamente apprezzabili.
L’ordinanza di rimessione ha concluso il suo percorso argomentativo affermando che solo ove si prospetti una chance accompagnata da una concreta probabilità di successo potrebbe configurarsi il danno del delitto di estorsione, con la conseguente integrazione degli elementi costitutivi di entrambe le fattispecie.
Nella diversa ipotesi in cui siffatta probabilità fosse esclusa, dovrebbe parimenti escludersi la configurabilità del danno e, quindi, del reato di estorsione, con l’ulteriore conseguenza della impossibilità di ravvisare il concorso dei reati, non essendovi uno stesso fatto riconducibile a due distinte fattispecie astratte di reato.

9. Con decreto della Prima Presidente in data 27 ottobre 2023 i ricorsi sono stati assegnati alle Sezioni Unite per la trattazione all’odierna udienza pubblica (…).

(…)

CONSIDERATO IN DIRITTO

[questioni di diritto]

1. Le questioni di diritto per le quali i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni Unite sono le seguenti:
a) “se nella nozione di danno di cui all’art. 629 cod. pen. rientri la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico
b) “se, in relazione alla condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, il reato di turbata libertà degli incanti concorra con quello di estorsione“.

[nozione di danno ex art. 629 c.p.: patrimonialità]

2. L’esame della prima questione è pregiudiziale rispetto alla seconda, la cui soluzione presuppone logicamente l’individuazione della nozione di danno prevista dall’art. 629 cod. pen. e del rilievo che ad essa deve attribuirsi quale elemento tipico della relativa fattispecie incriminatrice.
Nel reato di estorsione, infatti, il danno costituisce il perno dell’offesa criminale su cui è costruita l’intera fattispecie ed esprime la lesività materiale tipica dell’interesse tutelato, distinguendosi ontologicamente dal danno civile risarcibile previsto dall’art. 185, secondo comma, cod. pen.
L’accertamento di tale elemento costitutivo del reato deve essere svolto secondo i canoni probatori del diritto penale e non può essere affidato a meccanismi di tipo presuntivo, trattandosi di un delitto commesso mediante violenza o minaccia, il cui evento pregiudizievole per il patrimonio della vittima caratterizza l’intera dimensione offensiva del fatto.
Nello schema descrittivo della fattispecie tipica la costrizione consegue alla condotta di violenza o di minaccia e conduce al verificarsi di un altrui danno e di un ingiusto profitto quale duplice effetto finale del reato, causalmente legato alla condotta e determinato dall’evento intermedio del fare o dell’omettere “qualche cosa”.
Al riguardo la riflessione dottrinale ha prestato particolare attenzione al tenore della formula lessicale (“qualche cosa”) utilizzata dal legislatore per definire l’oggetto della costrizione, rilevando come essa sia genericamente enunciata nella norma incriminatrice, sì da ricomprendervi non solo i beni intesi in senso materiale, ma tutto ciò che può costituire oggetto di un profitto per l’agente o per altri. Diversamente dal reato di rapina, che ha per oggetto soltanto le cose mobili, l’estorsione può dunque aggredire qualsiasi parte del patrimonio della vittima, compresi i beni immobili e le aspettative di diritto.
È altresì diffusa l’opinione secondo cui il danno, quale centro dell’offesa “criminale” sulla quale è imperniato il delitto di estorsione, debba avere un contenuto patrimoniale, determinando una effettiva diminuzione del patrimonio della persona offesa.
La definizione della nozione di danno, pertanto, deve essere determinata in correlazione funzionale a quella di patrimonio, che ne costituisce il presupposto logico-giuridico necessario al fine di individuare il momento effettuale del risultato pregiudizievole della condotta costrittiva.
Seguendo tale impostazione metodologica, la elaborazione dottrinale del concetto penalistico di patrimonio tende a valorizzare un’esegesi orientata a contemperare in maniera equilibrata le diverse esigenze di non restringere troppo l’area della tutela penale, da un lato, e di evitare, dall’altro, un netto contrasto di valutazioni tra il diritto civile e il diritto penale, circoscrivendo la sfera della protezione penale a quei rapporti economici che l’ordinamento giuridico espressamente riconosce e considera meritevoli di tutela, sia pure in forma più attenuata rispetto ai diritti soggettivi in senso stretto: nella nozione di patrimonio, dunque, si fanno rientrare le aspettative dotate di fondamento giuridico, ma non anche le aspettative di mero fatto.
Analoga linea ermeneutica emerge dalla disamina dell’evoluzione giurisprudenziale, progressivamente affinatasi attraverso una ricostruzione del concetto di danno essenzialmente incentrata sulla valorizzazione della sua connotazione di patrimonialità.
Connotazione, questa, il cui contenuto di tutela è stato costantemente declinato dalla giurisprudenza in modo da definire il patrimonio come un insieme non solo di beni materiali, ma di rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico, unificati dalla legge in considerazione dell’appartenenza al medesimo soggetto, così da ricomprendere nel concetto di danno di cui all’art. 629 cod. pen. qualunque situazione idonea ad incidere negativamente sull’assetto economico di un individuo, compresa la delusione di aspettative e chance future di arricchimento o di consolidamento dei propri interessi (Sez. 2, n. 43769 del 12/07/2013, Ventimiglia, Rv. 257303; Sez. 2, n. 34900 del 10/07/2008, Quarti, Rv. 241817; Sez. 1, n. 9958 del 27/10/1997, Carelli, Rv. 208938; Sez. 1, n. 1683 del 22/04/1993, Puglisi, Rv. 194418).
Sulla scia di tale indirizzo, la patrimonialità del danno è stata riconosciuta da questa Corte non solo nelle situazioni in cui la condotta intimidatrice sia diretta ad ottenere la rinuncia alla tutela di un proprio diritto o di una legittima aspettativa nell’ambito dei rapporti di lavoro, costringendo il lavoratore ad accettare condizioni contrarie alla legge e ai contratti collettivi (Sez. 2, n. 3724 del 29/10/2021, dep. 2022, Lattanzio, Rv. 282521; Sez. 2, n. 8477 del 20/02/2019, Scialpi, Rv. 275613; Sez. 2, n. 11107 del 14/02/2017, Tessitore, Rv. 269905; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, Di Vincenzo, Rv. 261553; Sez. 2, n. 43769 del 12/07/2013, Ventimiglia, cit.; Sez. 2, n. 16656 del 20/04/2010, Privitera, Rv. 247350), ma anche nelle ipotesi di coartata desistenza dall’esercizio di una tempestiva azione giudiziaria in vista della legittima tutela dei propri diritti ed interessi, impedendo alla persona offesa di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune (Sez. 2, n. 32083 del 12/05/2023, De Luca, Rv. 285002; Sez. 2, n. 34900 del 10/07/2008, Quarti, cit.; v., inoltre, Sez. 6, n. 1533 del 20/06/1987, Sorrentino, Rv. 177531).
Nell’ambito della medesima prospettiva, inoltre, la caratteristica della patrimonialità del danno è stata riconosciuta anche nelle ipotesi di cd. estorsione contrattuale, quando al soggetto passivo sia stato imposto un rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, sicché l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno si ritiene implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, così impedendogli di perseguire i propri interessi economici (Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Di Grazia, Rv. 278998; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258168).
Sotto altro, ma connesso profilo, deve rilevarsi come tale nozione di patrimonio sia stata di recente ribadita dalle Sezioni Unite in relazione al tema della individuazione del dolo specifico nel delitto di furto, ricollegandovi una definizione assai ampia del fine di profitto, inteso come qualunque vantaggio, non solo di natura patrimoniale, perseguito dall’autore del reato (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145).

[perdita di chance: la giurisprudenza penale]

3. Ciò posto, deve essere ora esaminato lo specifico tema legato alla possibilità di ricondurre la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico (cd. chance) nell’ambito di operatività del danno patrimoniale quale elemento costitutivo del reato previsto dall’art. 629 cod. pen.
L’esigenza di pervenire alla costruzione di un modello definitorio uniforme della nozione di perdita di chance è affiorata solo episodicamente e in modo del tutto frammentario nella elaborazione della giurisprudenza penale formatasi in materia di danno da estorsione.
Né è possibile registrare, al riguardo, una organica ed approfondita disamina dei rilevanti approdi interpretativi che il progressivo affinamento di tale nozione ha consentito di raggiungere, come più avanti si vedrà, nella più recente evoluzione della giurisprudenza civile.
In relazione ad una vicenda fattuale del tutto analoga a quella oggetto della questione rimessa alle Sezioni Unite, ove le persone offese, già aggiudicatarie della prima fase della vendita giudiziaria con incanto, avevano subìto la delusione dell’aspettativa di consolidamento dei propri interessi a causa dell’azione estorsiva posta in essere dagli imputati, la nozione della perdita di chance non è stata specificamente definita da questa Corte (Sez. 2, n. 41433 del 27/4/2016, Ca.Gi.), ma solo genericamente richiamata nella motivazione, attraverso il riferimento all’ampia nozione di patrimonio accolta da un precedente giurisprudenziale ivi menzionato (Sez. 2, n. 43769 del 12/07/2013, Ventimiglia, cit.).
In un altro caso giunto all’attenzione di questa Corte, la costrizione della vittima a rinunciare ad una propria legittima aspettativa è stata definita quale danno futuro, consistente nella perdita non già di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione da formulare ex ante e da ricondurre, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale (Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Fulco, Rv. 270209, ove l’intimidazione era finalizzata a far recedere la vittima dalla richiesta di concessione di un’area demaniale per svolgervi la propria attività economica).
Le richiamate pronunzie, dunque, pur correttamente includendo nel concetto di danno prodotto dal reato di estorsione ogni situazione idonea ad incidere negativamente sull’assetto economico di un soggetto, ivi compresa la delusione delle aspettative di futuro arricchimento o consolidamento dei propri interessi, si sono limitate ad evocare tale nozione senza individuarne con precisione il contenuto e i presupposti necessari per delimitarne l’ambito di operatività.
Deve poi menzionarsi un’altra decisione che, pur esaminando il diverso, ma strettamente connesso, tema della individuazione del profitto del reato in relazione alla confisca per equivalente ai sensi dell’art. 322-ter, comma 2, cod. pen., ha puntualmente richiamato e accolto il concetto di chance elaborato dalla giurisprudenza civile, escludendo la possibilità di ricondurre nella sua sfera applicativa un vantaggio solo futuro, eventuale, sperato, immateriale o non ancora materializzato in termini economico-patrimoniali, ovvero una mera aspettativa di fatto, salvo che la chance, in quanto fondata su circostanze specifiche, non presenti caratteri di concretezza ed effettività tali da costituire essa stessa un’entità patrimoniale a sé stante, autonoma, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione in relazione alla sua proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto (Sez. 6, n. 1754 del 14/09/2017, Bentini, Rv. 271967).
La risarcibilità del danno da perdita di chance, infine, è stata affermata da questa Corte in relazione all’istituto processuale della riparazione dell’errore giudiziario, individuandola, in linea con l’impostazione seguita dalla giurisprudenza civile, nella perdita di una concreta occasione favorevole al conseguimento di un bene determinato o di un risultato positivo, sulla base del riferimento ad una situazione soggettiva diversa rispetto a quella relativa al danno cagionato dalla mancata realizzazione del medesimo risultato. Al riguardo, in particolare, si è precisato che deve trattarsi di un pregiudizio concreto e attuale, non ricollegato ad un’ipotesi congetturale, ravvisabile nell’occasione concreta di ottenere un rapporto di lavoro o di partecipare con esito positivo ad un concorso in tema di riparazione dell’errore giudiziario (Sez. 3, n. 26739 del 21/06/2011, Siccardi, Rv. 250663; Sez. 4, n. 24359 del 23/2/2006, Min. Econ. Fin. e Pisano, Rv. 234611, nella cui motivazione si richiama Sez. 3 civ., n. 4400 del 04/03/2004, Rv. 57078).

[perdita di chance: la giurisprudenza civile]

4. Il danno patrimoniale da perdita di chance è stato riconosciuto dalla giurisprudenza civile di questa Corte sin dagli anni ’80 del secolo scorso, con riferimento al settore delle procedure concorsuali espletate dal datore di lavoro per l’assunzione o la promozione dei lavoratori aspiranti al posto ed illegittimamente esclusi dalle relative prove di selezione (Sez. L civ., n. 6506 del 19/12/1985, Rv. 443577).
La risarcibilità di tale categoria di danno è stata poi estesa nei diversi settori della responsabilità professionale (Sez. 2 civ., n. 15759 del 13/12/2001, Rv. 551111) e di quella in campo sanitario (Sez. 3 civ., n. 4400 del 04/03/2004, Rv. 570781), ove le fattispecie di danno che vengono generalmente in rilievo sono quelle nelle quali il comportamento, per lo più omissivo, del medico determina una diminuzione o, addirittura, l’elisione delle possibilità di guarigione o di sopravvivenza del paziente con la conseguente compromissione o perdita, rispettivamente, della salute o della vita del danneggiato.
La nozione di chance non ha un’origine normativa, non essendo rinvenibile alcuna disposizione legislativa che la definisca, ma si è progressivamente delineata in sede giurisprudenziale muovendo dall’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza francesi di fine ‘800.
L’alveo semantico della formula lessicale viene fatto risalire al diritto romano, derivando etimologicamente da un’espressione del latino popolare, cadentia, che indica la maniera di gettare e far cadere i dadi (jater la chance) e sta a significare “buona probabilità di riuscita”.
L’assunto fondamentale sul quale viene imperniata la costruzione teorica del danno da perdita di chance è quello secondo cui può dar luogo a un danno risarcibile anche la perdita della sola possibilità di conseguire un risultato vantaggioso, ovvero di evitarne uno sfavorevole. Tale figura giuridica, secondo la dottrina civilistica, evoca problemi diversi a seconda che i suoi elementi identificativi e strutturali vengano in rilievo nel campo della responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ovvero con riferimento al danno patrimoniale o non patrimoniale (ad es., riguardo alla ascrivibilità del danno alle categorie del danno emergente ovvero del lucro cessante, all’oggetto della prova da fornire, ai criteri di liquidazione ecc.).
Ma è soprattutto in relazione al c.d. “modello patrimonialistico” che è stato storicamente individuato lo sfondo teorico della evoluzione giurisprudenziale in tema di danno da perdita di chance (Sez. 3 civ., n. 5641 del 09/03/2018, Rv. 648461): la chance patrimoniale, infatti, postula la preesistenza di un “quid” su cui abbia inciso sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante, impedendone la possibile evoluzione migliorativa, mentre la chance non patrimoniale, pur essendo anch’essa rappresentata, sul piano funzionale, dalla possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente (segnatamente nel sistema della responsabilità sanitaria), è morfologicamente diversa dalla prima, in quanto si innesta su una preesistente situazione sfavorevole (cioè patologica), rispetto alla quale non può in alcun modo rinvenirsi un “quid” inteso come preesistenza positiva.
4.1. Limitando l’analisi della predetta nozione alle sole ipotesi “patrimoniali“, che specificamente rilevano ai fini della soluzione della questione rimessa alle Sezioni Unite, questa Corte ne ha costantemente posto in evidenza la natura di situazione di fatto teleologicamente orientata verso il conseguimento di un’utilità o di un vantaggio e caratterizzata, in concreto, da una possibilità di successo non priva di consistenza (Sez. 3 civ., n. 24050 del 07/08/2023, Rv. 668589; Sez. 6 civ., n. 2261 del 26/01/2022, Rv. 663862).
Nella giurisprudenza civile di legittimità è ormai consolidato l’orientamento interpretativo (Sez. 3 civ., n. 5641 del 09/03/2018, cit.; Sez. 3 civ., n. 4400 del 04/03/2004, Rv. 570781) secondo cui “la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto ed attuale” (nello stesso senso, ex multis, v. Sez. 3 civ., n. 24050 del 07/08/2023, cit.; Sez. 3 civ., n. 25886 del 02/09/2022, Rv. 665403; Sez. 6 civ., n. 2261 del 26/01/2022, cit.; Sez. 3 civ., n. 28993 del 11/11/2019, Rv. 655791).
La chance non deve essere valutata in relazione al risultato atteso, ma alla perdita della possibilità di conseguirlo: non è il risultato perduto, infatti, ma la perdita della possibilità di realizzarlo a costituire l’oggetto della pretesa risarcitoria (Sez. 3 civ., n. 12906 del 26/06/2020, Rv. 658177; Sez. 3 civ., n. 5641 del 09/03/2018, cit.).
Solo la chance così intesa può assumere, diversamente dalla mera aspettativa di fatto, i caratteri di una situazione giuridica a sé stante, suscettibile di autonoma valutazione patrimoniale e, conseguentemente, di risarcibilità, quale perdita della seria e consistente possibilità di ottenere un risultato sperato, a condizione che ne sia provata la sussistenza (Sez. 3 civ., n. 12906 del 26/06/2020, cit.; Sez. 2 civ., n. 7570 del 18/03/2019, Rv. 653151; Sez. 3 civ., n. 13489 del 29/05/2018).
Nelle decisioni richiamate si precisa, in particolare, che il danno, inteso non in senso meramente ipotetico o eventuale (quale sarebbe stato se correlato al raggiungimento del risultato utile), bensì concreto ed attuale (perdita di una consistente possibilità di conseguire quel risultato), non va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di conseguirlo.
Da tale quadro di principi emerge, dunque, la necessità di accertare una linea causale rispetto all’evento di danno rappresentato dalla perdita della possibilità di conseguire un risultato favorevole, seguita da una linea causale autonoma se l’evento di danno è costituito dalla perdita del bene (come, ad es., quello della salute o della vita).
Si tratta di una precisazione rilevante, poiché l’accertamento del nesso causale avente ad oggetto la perdita della chance di conseguire un risultato utile non richiede anche l’accertamento della concreta probabilità di conseguire il risultato finale favorevole, né va confuso con esso.
Per quel che rileva in questa sede, il nesso causale oggetto di prova è quello relativo alla prima delle sequenze causali testé indicate, che lega direttamente la condotta illecita del danneggiante alla perdita della possibilità di conseguire il risultato utile sperato.
Nella medesima prospettiva è stato affermato (Sez. 3 civ., n. 25910 del 05/09/2023, Rv. 669086) il principio secondo cui la prova del danno da perdita di chance si sostanzia: a) nella dimostrazione, che può essere data con ogni mezzo, e quindi anche mediante presunzioni, della esistenza e della apprezzabile consistenza di tale possibilità perduta; b) nell’accertamento del nesso causale tra la condotta colpevole e l’evento di danno (nella specie venivano in rilievo le possibilità lavorative perdute a causa delle condizioni fisiche permanenti, estetiche e funzionali, della persona della danneggiata, con recisione delle concrete possibilità di affermazione nel campo prescelto).
Si è inoltre precisato che il nesso tra condotta ed evento si caratterizza, sul piano della perdita di chance, per la sua sostanziale certezza eziologica (sicché dovrà risultare causalmente certo che alla condotta colpevole sia conseguita la perdita di quella migliore possibilità), mentre l’incertezza si colloca esclusivamente sul piano dell’evento (è incerto, in altri termini, che, anche in assenza della condotta colpevole, la migliore possibilità si sarebbe comunque realizzata).
In altri termini, l’accertamento del nesso di causalità tra il fatto illecito e l’evento di danno (rappresentato dalla perdita non del bene in sé, ma della possibilità di conseguirlo) non è sottoposto ad un regime diverso da quello ordinario, sicché sullo stesso non influisce, in linea di principio, la misura percentuale della suddetta possibilità, della quale, invece, dev’essere provata la serietà ed apprezzabilità ai fini della risarcibilità del conseguente pregiudizio (Sez. 6 civ., n. 2261 del 26/01/2022, cit.).

[perdita di chance: la giurisprudenza della CGUE]

4.2. Nel solco tracciato dalla giurisprudenza di questa Corte si colloca anche la Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha stabilito, in relazione alla posizione dei soggetti lesi da una violazione del diritto dell’Unione in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, il principio secondo cui l’art. 2, par. 1, lett. c), della Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla Direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa o ad una prassi nazionali che non ammettono per principio la possibilità, per un offerente escluso da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in ragione di una decisione illegittima dell’amministrazione aggiudicatrice, di essere indennizzato per il danno subito a causa della perdita dell’opportunità di partecipare a tale procedura ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto (Corte giustizia, 21/12/2023, United Parcel Service/Commissione, C 297/22, par. 69; Corte giustizia, 06/06/2024, Ingsteel, C- 547/22, par. 49).
Al riguardo, in particolare, la Corte di giustizia ha precisato che, se è vero che un danno può risultare dal mancato ottenimento, in quanto tale, di un appalto pubblico e concretizzarsi in un lucro cessante, è altresì possibile che l’offerente illegittimamente escluso subisca un danno distinto, corrispondente all’opportunità perduta di partecipare alla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico.

[perdita di chance: la giurisprudenza amministrativa]

4.3. La figura del danno patrimoniale da perdita di chance è stata oggetto di un’approfondita analisi anche nella giurisprudenza amministrativa, con particolare riferimento ai provvedimenti di natura ampliativa ovvero a quelli che hanno l’effetto di far acquisire al cittadino che si relaziona con il potere pubblico situazioni giuridiche di cui prima non beneficiava.
A fronte di tali evenienze, il privato che si rivolge alla pubblica amministrazione per ottenere un provvedimento favorevole vanta un interesse legittimo c.d. pretensivo, che potrebbe essere frustrato dall’agire illegittimo della controparte pubblica. Qualora tale interesse non possa essere soddisfatto attraverso l’effetto ripristinatorio e conformativo dell’annullamento del provvedimento giurisdizionale, si è ritenuto di attribuire al privato una tutela per equivalente che può essere accordata attraverso lo strumento del risarcimento della perdita di chance, a sua volta inquadrabile nell’alveo della responsabilità aquiliana (Cons. Stato, n. 3217 del 20/05/2019; Cons. Stato, n. 4225 del 31/05/2018; Cons. Stato n. 5323 del 14/09/2006; Cons. Stato, n. 686 del 07/02/2002), nei casi in cui essa abbia raggiunto un’apprezzabile consistenza, condensata nei concetti di probabilità seria e concreta ovvero di elevata probabilità di conseguire il bene della vita sperato.
Nella più recente evoluzione della giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato n. 6268 del 24/06/2021) si è affermato, in linea con il quadro dei principi stabiliti dalla giurisprudenza civile questa Corte, che “(…) l’an del giudizio di responsabilità deve coerentemente consistere soltanto nell’accertamento del nesso causale tra la condotta antigiuridica e l’evento lesivo consistente nella perdita della predetta possibilità. La tecnica probabilistica va quindi impiegata non per accertare l’esistenza della chance come bene a sé stante, bensì per misurare in modo equitativo il ‘valore economico della stessa, in sede di liquidazione del ‘quantum’ risarcibile. Con l’avvertenza che, anche se commisurato ad una frazione probabilistica del vantaggio finale, il risarcimento è pur sempre compensativo (non del risultato sperato, ma) della privazione della possibilità di conseguirlo”.
Occorre dunque verificare con “estremo rigore” che “(…) la perdita della possibilità di risultato utile sia effettivamente imputabile alla condotta altrui contraria al diritto; sotto altro profilo, al fine di non riconoscere valore giuridico a “chance” del tutto accidentali, va appurato che la possibilità di realizzazione del risultato utile rientri nel contenuto protettivo delle norme violate”.

[perdita di chance come danno patrimoniale ex art. 629 c.p.]

5. Gli approdi interpretativi stabilmente raggiunti dalla richiamata elaborazione giurisprudenziale rilevano anche ai fini della corretta individuazione del danno patrimoniale nel reato di estorsione, ove la nozione di chance deve essere definita con precisione, nel rispetto dei principi di tassatività e prevedibilità della norma incriminatrice, escludendo dal suo ambito di applicazione ogni situazione che appaia in astratto, o solo genericamente, idonea ad incidere in termini negativi sulla sfera degli interessi economici di una persona.
Non può rientrarvi, dunque, la frustrazione di mere aspettative di fatto, né la perdita di scarse, se non addirittura nulle, possibilità di arricchimento o consolidamento dell’assetto economico-patrimoniale dell’interessato.
5.1. Al riguardo si è già rilevato come la giurisprudenza civile offra una puntuale definizione della predetta nozione, individuandola come “seria e consistente possibilità di ottenere il risultato sperato, la cui perdita, distinta dal risultato perduto, è risarcibile, trattandosi di una situazione giuridica a sé stante e suscettibile di autonoma valutazione patrimoniale, a condizione che di essa sia provata la sussistenza, tenendo, peraltro, conto che l’accertamento del nesso di causa avente ad oggetto la perdita di chance di conseguire un risultato utile non richiede anche l’accertamento della concreta probabilità di conseguire il risultato” (Sez. 3 civ., n. 24050 del 07/08/2023, cit.).
Ne consegue che l’esistenza della responsabilità, ossia il giudizio sull’an, richiede non già la lesione di qualsiasi speranza o aspettativa di fatto, bensì l’accertamento della lesione di un interesse giuridicamente garantito ed autonomamente individuato nei suoi tratti identificativi.
Non si tratta, dunque, della mera declinazione delle note modali di una figura di danno, quanto, invece, della compiuta delineazione di elementi strutturali che, da un lato, ne definiscono oggettivamente la patrimonialità, dall’altro, fanno emergere le condizioni necessarie per accertare l’esistenza e la concreta rilevanza di una situazione giuridica attiva di contenuto patrimoniale, delimitandone il confine con la mera aspettativa di fatto, di per sé non suscettibile di valutazione economica, in quanto vantaggio solo eventuale, sperato, immateriale o non ancora materializzato in termini economico-patrimoniali.
Le frequenti interferenze applicative e le connesse relazioni esegetiche tra i diversi settori dell’ordinamento giuridico suggeriscono, come osservato dalla dottrina, di perseguire l’obiettivo di una tendenziale uniformità interpretativa in tutte quelle circostanze o situazioni in cui l’applicazione della norma penale, pur senza accogliere o modificare le nozioni del diritto civile, trovi in esse una fonte di interpretazione e si fondi sull’utilizzo di concetti giuridici che proprio nel sistema civile offrono una adeguata spiegazione o un utile termine di confronto.
Muovendo da tali esigenze di certezza e prevedibilità dell’ordinamento penale, questa Corte (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975) ha già esaminato le questioni relative al significato da attribuire ai concetti giuridici utilizzati nei diversi rami dell’ordinamento, affermando che “… di principio, quando la fattispecie penale utilizza per la designazione di un fatto, o di un istituto, un termine che ha in altro ramo del diritto una propria configurazione tecnica, dovrebbe presumersi che anche il diritto penale lo assuma con analogo significato, giacché il diritto richiede certezze e riconoscibilità, e dunque l’uso di elementi normativi deve conformarsi quanto più possibile ai canoni della determinatezza e tassatività. Per accogliere ai fini penali una diversa accezione del termine, occorre trovare nella stessa legge penale una ragione, ovverosia quella che autorevole dottrina definisce “una giustificazione conveniente”, per “segni certi”, della diversa accezione. Tali segni, o indicatori, vanno ricercati, secondo le regole generali sull’interpretazione delle leggi, oltre che nella formulazione della disposizione, nel confronto con altre disposizioni e nella funzione della norma: sulla base, in altri termini, delle “finalità perseguite dall’incriminazione e del più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca”, come costantemente ricorda il Giudice delle leggi segnalando la necessità di verificare il rispetto del principio di determinatezza mediante il ricorso al criterio, altresì, dell’offesa (tra molte: Corte cost., sentenze n. 327 del 2008, n. 5 del 2004, n. 34 del 1995, n. 122 del 1993, n. 247 del 1989; ordinanze n. 395 del 2005, n. 302 e n. 80 del 2004).”.
La configurazione del danno derivante dalla perdita di chance in àmbito civilistico, pertanto, non preclude affatto la possibilità di valorizzarne i contenuti e le finalità attribuendole il medesimo significato a fini penali. Risulterebbe altrimenti paradossale – oltre che contrario ai principi di unità e complessiva coerenza dell’ordinamento giuridico – limitare al solo diritto civile il riconoscimento di un’entità patrimoniale la cui lesione pacificamente costituisca una ragione di danno risarcibile, senza considerane le implicazioni ad essa sottese, con l’applicabilità degli stessi presupposti giustificativi, nel parallelo àmbito del diritto penale.

[il nesso causale]

5.2. Tanto premesso, è evidente che nella prospettiva penalistica, ove il danno patrimoniale integra uno degli elementi essenziali della tipicità del reato di estorsione, non può essere seguita la regola civilistica del “più probabile che non” imponendosi, di contro, l’esigenza di individuare con rigore e in termini di certezza il nesso causale tra la condotta colpevole del soggetto attivo e l’evento di danno prodotto dall’evento intermedio del fare o dell’omettere “qualche cosa”.
Nella struttura del reato di estorsione la perdita di una chance può assumere rilievo, quale danno recato ad altri per effetto di una condotta violenta o intimidatoria, se alla possibilità perduta possa attribuirsi un valore economico: solo dalla certezza dell’esistenza di una seria e consistente possibilità di conseguire un risultato utile nei termini sopra indicati discende una lesione, immediata e obiettivamente riconoscibile, del patrimonio del danneggiato, da accertare quindi come un danno attuale e concreto, non come un danno futuro.
Ne consegue che, in ordine agli elementi che descrivono l’offesa propria del danno “criminale”, occorre dimostrare in termini di certezza l’esistenza di un nesso causale tra la condotta colpevole e l’evento di danno, inteso quale possibilità perduta di ottenere un risultato migliore o più favorevole, distinguendo i profili della seria ed apprezzabile possibilità dalla mera speranza o dalla generica aspettativa del conseguimento di un risultato positivo.
5.3. Ora, nella giurisprudenza civile di questa Corte (Sez. 3 civ., n. 28993 dell’ 11/11/2019, cit.), il tema dell’accertamento del nesso di causalità è stato specificamente esaminato affermando che per individuare un danno da perdita di chance occorrono: a) una condotta colpevole dell’agente; b) un evento di danno (la lesione di un diritto); c) un nesso di causalità tra condotta ed evento; d) una o più conseguenze dannose risarcibili, patrimoniali e non; e) un nesso di causalità tra l’evento e le conseguenze dannose.
Nell’ambito di tale impostazione ermeneutica l’evento di danno costituisce, al tempo stesso, il punto finale della condotta colpevole e il punto di inizio per valutare le conseguenze dirette ed immediate del fatto illecito (ex artt. 1223 e 2056 cod. civ.), ossia la risarcibilità del ed. danno-conseguenza.
È necessario distinguere, pertanto, la prova che la condotta dell’agente abbia determinato un danno da perdita di chance sul piano causale, dalla dimostrazione dell’apprezzabile possibilità di giungere al risultato migliore sul piano dell’evento di danno.
Sotto tale profilo, infatti, la giurisprudenza civile ha posto in rilievo l’impossibilità di sovrapporre o confondere il risarcimento del danno consistente nel “risultato perduto” con il risarcimento del danno consistente nella “possibilità perduta di realizzare il risultato” (ossia la perdita di chance), che è l’evento dannoso di cui occorre fornire la dimostrazione attingendo ai richiamati parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico-percentuale, ove in concreto accertabile, può costituire solo un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto (da ultimo, v. Sez. 3 civ., n. 3824 del 12/02/2024, Rv. 670112).
5.4. Nella diversa prospettiva in cui si colloca l’accertamento del danno patrimoniale quale elemento costitutivo “tipico” di un’offesa rilevante sul piano penale deve essere invece considerata soltanto la linea causale tra la condotta colpevole e l’evento di danno relativo alla perdita della possibilità di conseguire un risultato utile o favorevole, che deve essere provata secondo i principi della causalità propria del diritto penale, non secondo la regola civilistica del “più probabile che non”.
Non rileva, infatti, l’ulteriore linea causale che lega l’evento, ossia la lesione di un diritto, alle sue conseguenze dannose, trattandosi di un profilo che attiene, come si è visto, alla risarcibilità del cd. danno-conseguenza ed ai correlati criteri di liquidazione.
La causalità dell’offesa legata alla determinazione del danno “criminale” quale elemento tipico del reato di estorsione va pertanto dimostrata, come affermato dalla costante elaborazione giurisprudenziale di questa Corte (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138), non sulla base dei soli coefficienti di probabilità statistica, bensì mediante l’utilizzo degli strumenti di cui il giudice penale ordinariamente dispone per le valutazioni probatorie, e può ritenersi sussistente quando, considerate tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa affermare in termini di “certezza processuale”, ossia di alta credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio quella condotta a determinare l’evento lesivo, tenendo conto che nella evenienza qui considerata l’evento dannoso è diverso da quello cd. finale, concretandosi nella lesione di una posizione soggettiva di per sé suscettibile di determinare un obiettivo affidamento circa il conseguimento di un risultato utile o di un esito favorevole, il cui accertamento va effettuato secondo i richiamati criteri di derivazione penalistica, venendo altrimenti a mancare la certezza degli elementi integrativi del tipo di danno cagionato al soggetto passivo del reato.
5.5. La circostanza che uno dei poli del rapporto eziologico – ossia la perdita di una chance – presenti nei suoi tratti identificativi una connaturale base valutativa di ordine probabilistico (richiedendosi anche un giudizio prognostico sulla proiezione evolutiva di un determinato evento dannoso) non esclude che la sua ricostruzione in termini fattuali poggi su un solido fondamento di certezza a livello probatorio.
Occorre infatti distinguere l’accertamento della perdita di una chance come evento lesivo del patrimonio, oggetto, in quanto tale, di un rapporto di causalità la cui sussistenza rispetto ad una condotta colpevole deve essere individuata in termini di certezza, dal grado di serietà e consistenza – più o meno elevato e variabile a seconda dei casi – che può caratterizzare in concreto la chance perduta come elemento qualificativo delle specifiche connotazioni che l’evento di danno in questione può assumere nella sua dimensione evolutiva.
Rispetto ai richiamati parametri di apprezzabilità, serietà e consistenza, il valore statistico-percentuale, come dianzi rilevato, “potrà costituire al più criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto onde distinguere la concreta possibilità dalla mera speranza” (Sez. 3 civ., n. 3824 del 12/02/2024, cit.; Sez. 3 civ., n. 28993 dell’11/11/2019, cit.).
5.6. Diverse risultano, invece, l’impostazione metodologica e la prospettiva finalistica seguite nell’ambito del diritto civile, avendo questa Corte affermato che, in tema di responsabilità civile aquiliana, resta ferma la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi, poiché nell’accertamento del nesso causale in materia civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (Sez. U civ., n. 576 del 11/01/2008, Rv. 600899).
Nel diritto civile, pertanto, il giudizio controfattuale deve essere condotto, diversamente da quel che avviene nel penale, sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica che non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana) (Sez. 3 civ., n. 23197 del 27/09/2018, Rv. 650602).

[il principio]

6. Sulla base delle su esposte considerazioni, al primo quesito deve darsi risposta affermativa enunciando il seguente principio di diritto: “nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del delitto di estorsione rientra anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale“.

[estorsione e turbativa d’asta]

7. Deve essere ora esaminata la seconda questione rimessa alle Sezioni Unite, concernente la configurabilità del concorso formale tra i reati di estorsione e di turbativa d’asta in relazione alla condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private.
Occorre individuare, dunque, il criterio per stabilire se, in presenza di tale condotta, riconducibile ad entrambe le previsioni di cui agli artt. 629 e 353 cod. pen., possa configurarsi il concorso tra le due fattispecie incriminatrici, o se, piuttosto, debba applicarsi una sola di esse.
7.1. Al riguardo, l’ordinanza di rimessione ha correttamente precisato il tema oggetto della questione in esame, rilevando come, a prescindere dall’ipotesi in cui il danno da estorsione si concretizzi nella perdita di un bene materiale (situazione, questa, nella quale non vi sono dubbi sulla integrazione del delitto di estorsione e sul suo concorso con quello di turbativa), il problema del concorso formale tra le due fattispecie si manifesti soprattutto nelle evenienze in cui il danno investa anche la lesione dell’autonomia negoziale, ossia della libertà di regolamentare i propri interessi (Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Di Grazia, Rv. 278998; Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, Mancuso, Rv. 269364; Sez. 2, n. 6383 del 03/02/2016, Cammarano, non mass.; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, P.G. in proc. Fontana e altri, Rv. 258168).
Nel reato di estorsione, infatti, l’oggetto della tutela giuridica è costituito dal duplice interesse pubblico alla protezione della inviolabilità del patrimonio e della libertà personale (Sez. 3, n. 27257 del 11/05/2007, Prifti, Rv. 237211; Sez. 2, n. 7390 del 22/03/1986, La Montagna, Rv. 173388), poiché la norma incriminatrice è posta a tutela della complessiva integrità e consistenza del patrimonio rispetto ad atti di aggressione che pregiudicano al contempo la libertà di determinazione della vittima.
Sotto altro, ma connesso profilo, analoga connotazione di plurioffensività è rinvenibile con riferimento alla oggettività giuridica del reato di turbata libertà degli incanti, poiché nella relativa sfera di tutela si ritiene attratto non solo l’interesse della pubblica amministrazione al regolare svolgimento della gara secondo regole concorrenziali, ma anche l’interesse del privato a parteciparvi liberamente e ad influenzarne l’esito secondo il principio della libera concorrenza e attraverso il gioco della maggiorazione delle offerte (Sez. 6, n. 41094 del 31/03/2022, Uggetti, non mass.; Sez. 6, n. 2989 del 15/01/2019, Filippelli, non mass.; Sez. 2, n. 7013 del 05/11/2018, dep. 2019, Morabito, non mass.; Sez. 6, n. 12821 del 11/03/2013, Adami, non mass, sul punto; Sez. 6, n. 8887 del 02/10/2000, Simonazzi, Rv. 218193; Sez. 6, n. 20621 del 27/03/2007, Pallini, Rv. 236618; Sez. 6, n. 10711 del 06/05/1998, Pizzarotti, non mass, sul punto; Sez. 6, n. 8443 del 08/05/1998, Misuraca, non mass, sul punto; in senso contrario, isolatamente, v. Sez. 6, n. 28266 del 07/06/2017, Barbieri, Rv. 270321).
La lesione dell’autonomia negoziale, nell’ipotesi dell’allontanamento da una gara per effetto di una condotta violenta o intimidatoria posta in essere nei confronti dell’offerente, si realizza, infatti, attraverso la compromissione della libertà di curare i propri interessi scegliendo di parteciparvi o meno, sicché la correlata proiezione offensiva della condotta delittuosa è anch’essa rinvenibile nell’area di tutela presidiata dalla fattispecie di turbata libertà degli incanti di cui all’art. 353 cod. pen.
Ne consegue che, in relazione a tale specifico profilo, è possibile individuare, nelle aree di tutela rispettivamente coperte dalle due fattispecie incriminatrici in esame, un punto di intersezione che impone di delimitarne e regolarne i rapporti al fine qui considerato, potendo profilarsi, come evidenziato dalla Sezione rimettente, una relazione di specialità, con la eventuale integrazione del solo reato previsto dall’art. 353 cod. pen.
Il soggetto attivo, infatti, non potrebbe essere punito per due reati i cui elementi costitutivi risulterebbero sostanzialmente coincidenti sul piano dell’offesa recata al bene protetto, fatta salva la diversità del contesto operativo in cui le condotte descritte dall’art. 353 cod. pen. vengono di regola realizzate, inserendosi in un pubblico incanto o in una licitazione privata.
Al riguardo sono emersi due orientamenti interpretativi, che hanno dato luogo ad un contrasto giurisprudenziale i cui termini vengono di seguito illustrati.

[orientamento minoritario: concorso apparente]

7.2. Secondo un indirizzo minoritario (Sez. 6, n. 19607 del 03/03/2004, Del Regno, Rv. 228964), il delitto di turbata libertà degli incanti, in base al principio di specialità espresso dall’art. 15 cod. pen., non può concorrere con quello di estorsione, che di conseguenza deve ritenersi assorbito nel primo (fattispecie in cui si contestavano alla ricorrente entrambi i reati di estorsione e di turbativa d’asta, per avere impedito alle imprese interessate di partecipare alla gara, costringendole, attraverso minacce portate dal concorrente, a rinunziarvi a beneficio di un’impresa che dalla quart’ultima posizione occupata in graduatoria si aggiudicava l’appalto).
Muovendo dalla natura plurioffensiva del reato previsto dall’art. 353 cod. pen., in quanto posto a tutela non solo della libertà di partecipare alle gare nei pubblici incanti, ma anche della libertà di chi vi partecipa ad influenzarne l’esito secondo il principio della libera concorrenza, la richiamata decisione ha fatto leva sul principio di specialità per evitare l’effetto negativo di una duplicazione sanzionatoria per lo stesso fatto, affermando che “… per la specificità della materia, e per la presenza in essa di elementi peculiari che valgono a differenziarne l’impianto normativo, la norma incriminatrice ex art. 353 cod. pen., prevale rispetto a quella concorrente di cui all’art. 629 cod. pen. con la conseguenza che quest’ultimo reato deve ritenersi assorbito in quello di turbata libertà degli incanti”.
Siffatta conclusione, secondo la richiamata pronuncia, non viene posta in dubbio dalla diversa obiettività giuridica delle due figure criminose, in quanto nel delitto previsto dall’art. 353 cod. pen., attesa la sua natura plurioffensiva, il bene protetto deve essere “indirettamente” individuato anche nella “(…) libertà di autodeterminazione del partecipante alla gara in un atto di disposizione patrimoniale, quale è quello dell’offerta”.

[orientamento prevalente: concorso di reati]

7.3. A tale indirizzo ermeneutico, rimasto isolato nella giurisprudenza di legittimità, se ne contrappone un altro, assai risalente nel tempo e di gran lunga prevalente, secondo cui i delitti di estorsione e di turbata libertà degli incanti possono concorrere formalmente nel caso in cui la condotta materiale e l’elemento soggettivo abbiano in concreto realizzato entrambi i fatti puniti dagli artt. 353 e 629 cod. pen., dal momento che l’estorsione si caratterizza per una coartazione dell’altrui volontà con lo specifico fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, mentre il delitto di turbata libertà degli incanti si connota sia per il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di impedire, turbare la gara o allontanare gli offerenti, sia per essere un reato di pericolo che si consuma nel momento e nel luogo in cui si è impedita o turbata la gara, senza che occorra la produzione di un danno né il conseguimento di un profitto (Sez. 2, n. 4925 del 26/01/2006, Piselli, Rv. 233346; Sez. 2, n. 45625 del 25/09/2003, Ciserani, Rv. 227157; Sez. 2, n. 3797 del 30/11/1989, dep. 1990, Vitali, Rv. 183725).
Tale orientamento, successivamente ribadito da numerose decisioni (Sez. 2, n. 4849 del 16/12/2023, Metitore, non mass, sul punto; Sez. 2, n. 1821 del 29/10/2019, dep. 2020, Alberti, non mass, sul punto; Sez. 6, n. 43548 del 15/05/2019, Alvaro, non mass, sul punto; Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo, non mass, sul punto; Sez. 2, n. 11979 del 17/02/2017, Remedia, Rv. 269560; Sez. 2, n. 6383 del 03/02/2016, Cammarano, non mass.; Sez. 5, n. 22200 del 10/04/2013, De.Gi., Rv. 256502; Sez. 2, n. 13505 del 13/03/2008, Gennaro, Rv. 239794; Sez. 2, n. 12266 del 27/02/2008, Magni, Rv. 239753), muove dalla preliminare considerazione della diversa oggettività giuridica delle norme incriminatrici di cui agli artt. 629 cod. pen. e 353 cod. pen., atteso che la prima tutela il patrimonio, attraverso la repressione di atti di coartazione della libertà di determinazione del soggetto nel compimento degli atti di disposizione patrimoniale, mentre la seconda tutela la libera formazione delle offerte nei pubblici incanti e nelle licitazioni private per conto delle pubbliche amministrazioni.
Entro tale prospettiva ermeneutica, in particolare, si è affermato che la condotta estorsiva “non può ritenersi “assorbita” nel reato di turbativa d’asta, né quest’ultimo può ritenersi “consumato” nel primo, diversi essendo i “perimetri” di offensività che le due previsioni, strutturalmente e teleologicamente non sovrapponibili, mirano a delineare” (Sez. 2, n. 4925 del 26/01/2006, Piselli, cit., in relazione ad una fattispecie in cui la condotta materiale ascritta all’indagato, in aggiunta alla turbativa d’asta, era intesa a conseguire un guadagno di gran lunga maggiore rispetto al prezzo di aggiudicazione, attraverso la rivendita dell’immobile alle parti offese, approfittando del loro interesse a non perdere la casa di abitazione).
Ne consegue che, ove la condotta materiale e l’elemento soggettivo abbiano in concreto realizzato entrambi i “fatti” puniti dagli artt. 629 e 353 cod. pen., le relative previsioni concorrono fra loro, “giacché soltanto in questo modo il diverso disvalore che le norme stesse esprimono ed intendono perseguire può dirsi integralmente “coperto” (Sez. 2, n. 4925 del 26/01/2006, Piselli, cit.; cfr. anche Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo, non mass, sul punto).
Viene così valorizzata una linea interpretativa basata sull’esigenza di un’analisi strutturale delle figure criminose poste a raffronto, seguendo un’impostazione già accolta da questa Corte (Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302), che l’ha ritenuta preferibile rispetto a quella, pur evocata da una parte della dottrina e della giurisprudenza, che segue i criteri di sussidiarietà, assorbimento e consunzione, sulla base del presupposto che gli stessi “esigono scelte prive di riferimenti normativi certi, appunto perché dichiaratamente prescindono dalla struttura delle fattispecie”.
Tali criteri, secondo quanto affermato dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite e poi ribadito da Sez. 2, n. 4925 del 26/01/2006, Piselli, cit., sono stati individuati quale ratio e fondamento della disciplina del concorso apparente di norme sulla base della rilevata esistenza, nel sistema, di un principio di ne bis in idem sostanziale secondo il quale, in tutte le ipotesi di concorso dì norme – pur se astrattamente diverse per struttura – sarebbe inibito porre a carico dell’agente lo stesso fatto più di una volta, qualora l’intero disvalore sia compiutamente assorbito da una delle varie fattispecie in ipotesi concorrenti.
Si tratta, tuttavia, come posto in rilievo nelle richiamate decisioni, di un’impostazione ermeneutica non condivisibile, poiché quei criteri, per un verso, presuppongono giudizi di valore tendenzialmente in contrasto con le esigenze di determinatezza e tassatività cui l’intero sistema penale deve ispirarsi, per altro verso risultano privi di base normativa, giacché la clausola di riserva che compare quale ultimo inciso nell’art. 15 cod. pen. consente l’applicazione della norma generale in luogo di quella speciale, considerata sussidiaria, ma soltanto nelle ipotesi espressamente previste: dunque, una norma derogatoria, di stretta interpretazione, e non certo evocabile come “esempio” di un principio generale alternativo rispetto a quello di specialità.

[le S.u.: concorso di reati]

7.4. Così ricostruiti i termini del contrasto, le Sezioni Unite ritengono di aderire al secondo orientamento giurisprudenziale per le ragioni di seguito indicate.
Deve anzitutto ribadirsi, in linea con la prospettiva ermeneutica già tracciata dalle Sezioni Unite, che l’unico criterio idoneo a dirimere i casi di concorso apparente di norme è rinvenibile nel principio di specialità ex art. 15 cod. pen. (Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, Gambacurta; Sez. U, n. 16153 del 18/01/2024, Clemente, non mass, sul punto; Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902; Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Dì Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, cit.).
Il principio di specialità consente alla legge speciale di derogare a quella generale nel caso in cui le diverse disposizioni penali regolino la “stessa materia”, intesa come fattispecie astratta, stesso fatto tipico nel quale si realizza l’ipotesi di reato, con la precisazione che il riferimento all’interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha immediata rilevanza ai fini dell’applicazione del principio di specialità (Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, cit.; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, cit.).
Al riguardo, in particolare, si è affermato che deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, cit.).
Si è inoltre precisato che il criterio di specialità deve intendersi ed applicarsi in senso logico-formale, sicché il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente posta dall’art. 15 cod. pen., risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le relative fattispecie di reato (Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, Gambacurta; Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, cit.; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, cit.).
Muovendo da tale quadro di principi, la comparazione tra le fattispecie evocate nella questione in esame ne pone in evidenza una profonda diversità sul piano strutturale: ancorché le condotte tipiche di violenza e minaccia siano assimilabili, le due norme incriminatrici intendono prevenire eventi naturalistici diversi.
L’estorsione sanziona la condotta del soggetto che, attraverso le modalità descritte nella norma, costringe la vittima ad un atto dispositivo immediatamente lesivo del bene-patrimonio, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno: nozioni che non possono che connotarsi in senso patrimoniale, come accrescimento o diminuzione delle possibilità del patrimonio di soddisfare esigenze materiali o anche solo spirituali, per effetto di una compressione della libertà di determinazione della persona offesa.
La turbativa, di contro, mira a preservare la genuinità dei pubblici incanti e delle procedure di licitazione privata sanzionando condotte che vanno a detrimento del libero esplicarsi delle regole della concorrenza nell’ambito di una gara.
Al riguardo, in particolare, il nesso eziologico deve legare i comportamenti incriminati e il risultato derivante dal turbamento di una gara, senza che sia necessario un rapporto di immediatezza causale tra violenza o minaccia, costrizione della vittima e atto dispositivo del patrimonio, né una reale coartazione della volontà del soggetto passivo seguita da un accrescimento patrimoniale con il prodursi di un corrispondente altrui danno.
Sulla base del richiamato criterio strutturale, dunque, l’analisi delle due fattispecie poste a raffronto consente di individuare in ciascuna di esse elementi specializzanti diversi, che impediscono di ritenere l’una assorbita nell’altra, ponendole invece in un rapporto di specialità reciproca (Sez. 1, n. 11471 del 10/01/2011, Grillo Brancati, non mass.).
La turbativa d’asta, infatti, si perfeziona attraverso una condotta che può essere di violenza o di minaccia, ma può anche estrinsecarsi in collusioni o altri mezzi fraudolenti, laddove il delitto di estorsione, che “contiene” in sé le condotte della violenza e della minaccia, ma non gli altri comportamenti pure rilevanti per l’integrazione della turbativa d’asta, si caratterizza per lo specifico fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, configurandosi come speciale, sotto il profilo delle modalità della condotta e dell’elemento soggettivo, rispetto al reato di cui all’art. 353 cod. pen., connotato invece dal dolo generico.
Il reato di turbativa, le cui modalità esecutive, diversamente dalla condotta estorsiva, necessariamente si inseriscono nell’ambito di una procedura di gara, è a sua volta speciale sia quanto all’evento, di pericolo e non di danno, sia in ragione dell’elemento soggettivo, caratterizzato dalla coscienza e volontà di impedire o turbare la gara o di allontanarne gli offerenti, facendo uso dei mezzi indicati dalla stessa previsione normativa.
Sotto tale profilo, infatti, questa Corte ha affermato (Sez. 6, n. 41094 del 31/03/2022, Uggetti, non mass.) il principio secondo cui non è necessario che l’azione tipica determini un danno effettivo alla regolarità della gara, “ma è sufficiente anche solo che essa produca un “danno mediato e potenziale”, costituito dalla semplice “idoneità” degli atti ad influenzare l’andamento della gara (tra le tante, Sez. 6, n. 10272 del 23/01/2019, Cersosimo, Rv. 275163 – 01), senza che sia necessario quindi dimostrare un’effettiva alterazione dei suoi risultati (Sez. 2, n. 43408 del 23/06/2016, Martinico, Rv. 267967 – 01)”.
Condivisibile, pertanto, deve ritenersi la linea interpretativa secondo cui la condotta che realizza un’estorsione non può in nessun caso ritenersi assorbita in quella di turbativa, né quest’ultima può ritenersi “consumata” nell’estorsione, poiché a ciascuna delle fattispecie si ricollegano momenti di tutela differenti sia da un punto di vista strutturale che funzionale, così da porle in una relazione di “complementarietà reciproca” (Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo, non mass, sul punto).
All’interno di tale prospettiva assume un particolare rilievo il profilo inerente alla prestazione patrimoniale, quale elemento costitutivo del delitto di estorsione che deve essere causalmente riconducibile alla minaccia o violenza realizzata dall’agente: se, per un verso, la condotta intimidatoria o violenta si manifesta in forma tale da cagionare l’impedimento o la turbativa della gara, così determinando il perfezionarsi del delitto di cui all’art. 353 cod. pen., per altro verso il reato di estorsione richiede, per la sua configurabilità, un quid pluris tra condotta ed evento, costituito da un atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto coartato nella propria libertà di autodeterminazione, da cui poi scaturisce l’ingiusto profitto con altrui danno (Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo, non mass, sul punto).
7.5. Discende dalle su esposte considerazioni una prima conclusione, sia pure non definitiva, emergendo con evidenza che le relative norme incriminatrici non sono sovrapponibili sul piano strutturale, ma concorrono formalmente ove siano in concreto ravvisabili gli elementi costitutivi di entrambi i fatti previsti dagli artt. 353 e 629 cod. pen., in rapporto di specialità reciproca fra loro.

[l’allontanamento coattivo dell’offerente]

8. Ciò posto, le implicazioni logicamente sottese alla formulazione di tale provvisoria conclusione devono essere correlate allo specifico contenuto delle questioni di diritto poste all’attenzione di questa Corte, poiché se la condotta che determina l’allontanamento coattivo dell’offerente da una gara svoltasi nelle forme dei pubblici incanti o delle licitazioni private può di per sé integrare il reato di turbativa previsto dall’art. 353 cod. pen., la stessa non necessariamente realizza in concreto il fatto incriminato dall’art. 629 cod. pen., per il quale si richiede anche la presenza degli elementi costitutivi rappresentati dal danno patrimoniale recato alla persona offesa e dal correlativo ingiusto profitto in capo al soggetto attivo.
8.1. Ai fini della configurabilità dell’estorsione, in particolare, non è sufficiente individuare la presenza del comune segmento di condotta che realizza l’allontanamento coattivo di un offerente dalla gara, ma è necessario che sia ravvisabile in concreto l’ulteriore elemento rappresentato dal verificarsi di un evento pregiudizievole per il patrimonio della persona offesa, in conseguenza di un atto dispositivo o, comunque, del trasferimento di un bene o di un’altra utilità dal soggetto passivo a quello attivo.
Al riguardo si è affermato che nella facoltà di partecipare ad una gara nei pubblici incanti non è di per sé ravvisabile “un elemento attivo del patrimonio”, poiché “(…) colui che determina l’allontanamento del concorrente partecipa alla gara per una facoltà propria, che non deriva da quella – inibita – del soggetto vittima della violenza o minaccia” (Sez. 6, n. 48746 del 07/12/2011, Barone ed altri, non mass., che ha escluso la configurabilità del delitto di estorsione in relazione ad una fattispecie di allontanamento dalla gara di un offerente per effetto della minacciosa evocazione di un sodalizio camorristico, ritenendo configurabile il solo delitto di turbativa d’asta).
L’allontanamento da una gara con violenza o minaccia posta in essere nei confronti dell’offerente, pertanto, integra già il reato di turbativa, ma non lambisce ancora la soglia necessaria per ritenere configurabile quello di estorsione, poiché il relativo evento si verifica solo con la realizzazione del “sinallagma” illecito del “profitto ingiusto con altrui danno”.
Ne discende che solo nell’ipotesi in cui alla condotta di allontanamento coattivo sia causalmente riconducibile, nei termini dianzi indicati (v., supra, il par. 4.1.), un pregiudizio economicamente valutabile per effetto della perdita, ai danni dell’offerente, di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile legato all’aspettativa di partecipazione ad una gara, può dirsi integrato anche il concorrente reato di estorsione.
Deve escludersi, di contro, il concorso formale di tale reato con quello di turbativa qualora nel caso concreto non sia possibile verificare la presenza di un danno patrimoniale, per non essere stata accertata in capo all’offerente la perdita di una chance connotata dagli elementi qualificativi sopra indicati: nel ricorrere di tale evenienza, infatti, viene a mancare uno degli elementi costitutivi del modello “tipico” del delitto di estorsione, residuando il solo disvalore di evento legato alla realizzazione di una condotta di turbativa, con le correlate lesioni dell’interesse pubblicistico alla regolarità della gara e della libertà di partecipazione del soggetto interessato alla competizione.
Entro tale prospettiva, ad esempio, dovrebbe ritenersi configurabile la sola condotta di turbativa nell’ipotesi in cui si dimostrasse che la persona allontanata per effetto di una condotta violenta o minacciosa non avrebbe potuto conseguire un risultato economicamente apprezzabile, ovvero che l’aggiudicatario sarebbe comunque prevalso con la medesima offerta, giacché il concorrente allontanato, anche nell’eventualità in cui avesse preso parte alla gara, non avrebbe avuto alcuna possibilità di incrementare il proprio patrimonio e compromettere le possibilità di successo dell’effettivo vincitore.
A fronte di tali evenienze, dunque, non si porrebbe affatto il problema di un concorso apparente di norme da risolvere sulla base del principio di specialità, poiché dovrebbe ritenersi integrata esclusivamente la fattispecie incriminatrice della turbata libertà degli incanti, con la conseguente lesione sia della libertà di concorrenza all’interno della procedura competitiva avviata dalla Pubblica amministrazione che dell’interesse, per quest’ultima, di addivenire ad una contrattazione giusta e conveniente, nel rispetto della par condicio dei partecipanti.
8.2. Sotto altro, ma connesso profilo, si rende necessario esaminare i presupposti e gli indici fattuali che consentono di individuare in concreto la condotta di allontanamento dalla gara e di definire la nozione di offerente, poiché la perdita di una chance rilevante ai fini dell’accertamento del danno patrimoniale causato da una condotta estorsiva può diversamente interagire con le peculiari situazioni in cui le condotte di illecita turbativa siano poste in essere nell’ambito dei procedimenti di vendita forzata con le forme dell’incanto.
La perdita di una chance, infatti, può assumere un’incidenza variabile a seconda della fase in cui pende una procedura di gara, sicché assai diverse, al riguardo, possono risultare le evenienze concretamente prospettabili, ove si consideri che, accanto a condotte volte ad intimare l’allontanamento dell’interessato dalla partecipazione ad un’asta, ben possono ipotizzarsi condotte che incidono non solo sul decorso di un procedimento già iniziato, ma anche sulla partecipazione ad una sua fase più avanzata, qual è quella che fa seguito all’aggiudicazione provvisoria del bene.
8.3. Alla condotta di allontanamento da una gara devono ritenersi obiettivamente collegati, secondo un condivisibile orientamento dottrinale, non solo il luogo del suo materiale svolgimento, ma anche i comportamenti volti a distogliere o distornare l’interessato, così includendovi anche le condotte poste in essere da colui che, attraverso le modalità tassativamente elencate dalla norma incriminatrice, spinga in qualche modo altri a non formulare una proposta, ovvero a non persistere nell’espletamento di quegli incombenti indispensabili per prendere parte alla procedura.
Ciò che rileva ai fini della configurazione del reato, pertanto, è l’illegittima induzione degli interessati a non partecipare ad una gara oppure a non perseverare nel parteciparvi.
La turbativa illecita prevista dall’art. 353 cod. pen., infatti, non deve necessariamente verificarsi nel momento in cui la gara si svolge (Sez. 6, n. 07260 del 26/11/2021, dep. 2022, Provvisiero), ben potendo essere perpetrata anche al di fuori di essa, nelle fasi preliminari della procedura complessa che ne precede la indizione (Sez. 6, n. 653 del 14/10/2016, dep. 2017, Venturini, Rv. 269525; Sez. 6, n. 18161 del 05/04/2012, Bevilacqua, Rv. 252638), ovvero successivamente alla chiusura dell’asta e a seguito di aggiudicazione, nel periodo di tempo necessario ai controlli e alle verifiche prodromiche alla stipula del contratto (Sez. 2, n. 34746 del 04/05/2018, Porcari, Rv. 273550; Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo, Rv. 270338), purché la condotta sia idonea ad influenzarne o alterarne il risultato finale, determinando quella lesione del principio di libera concorrenza che la norma intende presidiare a salvaguardia degli interessi della pubblica amministrazione.
A prescindere dal frangente temporale in cui si sia estrinsecata la condotta delittuosa, è necessario, pertanto, che i suoi effetti si irradino all’interno della procedura di gara (ad es., nel corso della procedura di aumento del sesto, a seguito dell’aggiudicazione provvisoria nella vendita di immobili), distogliendo gli interessati sia dal presentare un’offerta, sia dall’impegnarsi affinché la stessa prevalga sulle altre.
8.4. Nella nozione di “offerente“, inoltre, la dottrina ritiene generalmente compresa non solo la posizione soggettiva di colui che abbia già presentato un’offerta, ma anche di chi si prepari seriamente a presentarla o stia concretamente per farla.
Nell’alveo semantico della formula lessicale utilizzata dal legislatore convivono, dunque, le differenti situazioni di chi abbia ormai provveduto ad avanzare un’offerta e di chi, apprestandosi a fare altrettanto, potrebbe esserne dissuaso, ricadendovi, ad es., sia la posizione soggettiva dell’invitato ad una licitazione privata, sia quella di colui che abbia depositato la cauzione richiesta dall’art. 580 cod. proc. civ. per prendere parte ad una vendita all’incanto di immobili.
In altri termini, si ritiene necessario accertare la presenza di un’attività o di un comportamento da cui obiettivamente traspaia che il soggetto si accinge a presentare un’offerta.
Strettamente connesso al tema della corretta delimitazione dell’ambito di applicazione di tale nozione è il profilo relativo alla possibilità di ricondurvi anche i soggetti incapaci o giuridicamente inidonei a partecipare ad una gara, in quanto sforniti dei requisiti o dei mezzi tecnici espressamente indicati dalla legge o dal bando.
Al riguardo occorrerà verificare, di volta in volta, se la mancanza di alcuni requisiti in capo all’offerente lo renda automaticamente incapace di prendere parte al meccanismo competitivo individuato dalla pubblica amministrazione, ovvero passibile di un provvedimento di esclusione per non essere in possesso di particolari qualifiche o requisiti di ordine tecnico, professionale e finanziario preventivamente richiesti per la partecipazione alla gara, in modo da garantire l’offerta di una prestazione adeguata all’oggetto e alla natura del contratto.
Non potranno ritenersi valide, ad es., un’offerta priva di sottoscrizione, che è un elemento essenziale di tale atto negoziale, la cui assenza ne pregiudica l’ammissibilità, ovvero un’offerta non conforme ai documenti di gara o ricevuta, addirittura, oltre i termini indicati nel bando o nell’invito con cui la stessa viene indetta.
8.5. Sulla base delle su esposte considerazioni assume uno specifico rilievo, ai fini dell’accertamento del danno patrimoniale causato dalla perdita di una chance per effetto del coattivo allontanamento dell’offerente da una gara, la posizione soggettiva di colui che, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto (ad es., il numero dei concorrenti, la qualità e il contenuto dell’offerta, la tipologia della procedura di scelta, il contesto ambientale ed altri indici fattuali ritenuti sintomatici nella situazione di volta in volta esaminata), abbia presentato un’offerta dotata dei connotati di serietà, congruità e apprezzabile consistenza, o che stia per presentarla sulla base di una intenzione obiettivamente ed univocamente riconoscibile.
Nella medesima prospettiva, inoltre, può in concreto rilevare la posizione del soggetto invitato a partecipare con altri ad una licitazione privata o ad una procedura di selezione competitiva indetta dalla pubblica amministrazione sulla base di criteri oggettivi e previamente indicati.
A diverse conclusioni deve invece giungersi con riferimento alla posizione del potenziale offerente – ovvero di colui che abbia genericamente preso in considerazione l’ipotesi di un’offerta senza poi coltivarla o abbia solo in astratto la possibilità di presentarla – e a quella del candidato non legittimato perché palesemente sguarnito dei mezzi tecnici indispensabili per la competizione o privo dei requisiti di capacità e idoneità necessari per la partecipazione ad una gara, difettando in tali evenienze la presenza dei presupposti formali indispensabili ai fini della configurabilità di un apprezzabile interesse patrimoniale.

[il principio]

9. Conclusivamente, sulla base delle su esposte considerazioni deve darsi risposta affermativa al secondo quesito, enunciando il seguente principio di diritto: “La condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani l’offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, oltre ad integrare il reato di cui all’art. 353 cod. pen., può integrare altresì quello di cui all’art. 629 cod. pen. ove abbia causato un danno patrimoniale derivante dalla perdita di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile per effetto della partecipazione alla predetta gara“.

(…)

_________________

La sentenza in sintesi

Il fatto: condotta di allontanamento da una gara degli offerenti con violenza o minaccia.

Prima questione: se nella nozione di danno di cui all’art. 629 c.p. rientri la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico (perdita di chance);
soluzione: nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del delitto di estorsione rientra anche la perdita della seria e consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale, basata sul criterio dell’“oltre il ragionevole dubbio”;
argomenti: danno è qualunque situazione idonea ad incidere negativamente sull’assetto economico di un individuo, compresa la delusione di aspettative e chance future di arricchimento o di consolidamento dei propri interessi;
rileva in diritto penale la nozione civilistica di chance, come “seria e consistente possibilità di ottenere il risultato sperato, la cui perdita, distinta dal risultato perduto, è risarcibile, trattandosi di una situazione giuridica a sé stante e suscettibile di autonoma valutazione patrimoniale, a condizione che di essa sia provata la sussistenza, tenendo, peraltro, conto che l’accertamento del nesso di causa avente ad oggetto la perdita di chance di conseguire un risultato utile non richiede anche l’accertamento della concreta probabilità di conseguire il risultato”;
precisazione: non basta un’aspettativa di fatto, ma è necessario che sussista un interesse giuridicamente garantito ed autonomamente individuato, cioè una situazione giuridica attiva di contenuto patrimoniale, perché solo questo ne garantisce il contenuto patrimoniale rilevante per il diritto penale;

Seconda questione: se il reato di turbata libertà degli incanti concorra con quello di estorsione;
soluzione: la condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani l’offerente da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private, oltre ad integrare il reato di cui all’art. 353 c.p., può integrare altresì quello di cui all’art. 629 c.p. ove abbia causato un danno patrimoniale derivante dalla perdita di una seria e consistente possibilità di ottenere un risultato utile per effetto della partecipazione alla predetta gara;
argomenti: non sussiste tra i due reati un rapporto di concorso apparente perché tra le relative fattispecie non sussiste un rapporto di specialità unilaterale in astratto, unico criterio in applicazione del quale può affermarsi l’apparenza del concorso; tra i due reati sussiste infatti un rapporto di specialità reciproca: la turbativa d’asta, infatti, si perfeziona attraverso una condotta che può essere di violenza o di minaccia, ma può anche estrinsecarsi in collusioni o altri mezzi fraudolenti, laddove il delitto di estorsione – che “contiene” in sé le condotte della violenza e della minaccia, ma non gli altri comportamenti pure rilevanti per l’integrazione della turbativa d’asta – si caratterizza per lo specifico fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, configurandosi come speciale, sotto il profilo delle modalità della condotta e dell’elemento soggettivo, rispetto al reato di cui all’art. 353 cod. pen., connotato invece dal dolo generico; il reato di turbativa, le cui modalità esecutive, diversamente dalla condotta estorsiva, necessariamente si inseriscono nell’ambito di una procedura di gara, è a sua volta speciale sia quanto all’evento, di pericolo e non di danno, sia in ragione dell’elemento soggettivo, caratterizzato dalla coscienza e volontà di impedire o turbare la gara o di allontanarne gli offerenti, facendo uso dei mezzi indicati dalla stessa previsione normativa.

Spunti di approfondimento
  • Sulla sentenza S.u. 28.03.2024, n. 30016/24, Annunziata, v. G. Piffer, Manuale di diritto penale giurisprudenziale, 2024, XV,4.3.1.2; XV,4.5.1;
  • Sul concorso apparente di norme in contrapposizione al concorso di reati, v. G. Piffer, Manuale, cit., XV,4.
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Note

1 Le parole tra parentesi quadra, le diverse grandezze dei caratteri ed il grassetto di alcune parole non sono presenti nella sentenza e sono stati inseriti per evidenziare i concetti fondamentali.

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