ATTO DI DIRITTO PENALE
Svolgimento dell’atto assegnato: atto di appello
10.12.2024
Traccia assegnata
Tizia madre del piccolo Sempronio, di soli due anni, innervosita dalla notte insonne a causa del pianto insistente del figlioletto, lo colpisce con uno schiaffo; il piccolo impatta con la testa sulla barra di legno del lettino riportando un grave trauma cranico.
Dopo qualche istante di pianto, il piccolo non dà alcun segno di vita, e Tizia, convinta di averlo ucciso, decide di occultare il cadavere all’interno dell’armadio, riponendolo in un sacchetto di plastica, per poi potersene disfare in seguito.
Dall’esito dell’autopsia risulta che Sempronio, pur avendo riportato un notevole trauma cranico, è deceduto per asfissia a seguito della condotta della madre che lo aveva chiuso ancora vivo all’interno del sacchetto di plastica.
In esito al giudizio di primo grado, la Corte di Assise di Roma, condanna Tizia alla pena dell’ergastolo per il delitto di omicidio pluriaggravato (art. 61, n. 1, 5 e 11, art. 575 е art. 577 с.р.).
Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizia, rediga l’atto di appello soffermandosi sugli istituti e le problematiche sottesi al caso in esame.
Svolgimento
Proc. pen. n. …. R.G.N.R.
Proc. pen. n. …. R.G.C.Ass.
ATTO DI APPELLO
ALLA CORTE D’ASSISE DI APPELLO DI ROMA
Il sottoscritto Avv. …., del foro di …., con studio in …., quale difensore di fiducia della Signora Tizia, nata a … il … (v. nomina in calce al presente atto), propone appello per i motivi di seguito esposti avverso la sentenza in data … della Corte di Assise di Roma, con la quale Tizia è stata condannata alla pena dell’ergastolo per il reato di omicidio volontario pluriaggravato commesso il … ai danni del figlio Sempronio di anni due (artt. 575, 577, co. 1, n. 4, 61, co. 1, nn. 1, 5 e 11 c.p.).
MOTIVI
1. Insussistenza del reato di omicidio volontario per mancanza di dolo.
Questa difesa non contesta la ricostruzione del fatto contenuta nell’impugnata sentenza, che ha ritenuto provata la dinamica dei tragici avvenimenti descritta nel capo di imputazione.
Essa implica l’individuazione di due distinte fasi, caratterizzanti il fatto innanzitutto sul piano oggettivo: – la prima fase è consistita nella causazione, da parte di Tizia, del trauma cranico al piccolo Sempronio, con la condotta consistita nel tirare al bimbo uno schiaffo, a causa del quale il piccolo urtava violentemente il capo contro il lettino; – la seconda fase è consistita nella causazione della morte del bimbo per asfissia, in conseguenza della chiusura del corpo in un sacchetto di plastica, condotta questa costituente la causa esclusiva dell’evento morte, in quanto comportante l’interruzione di qualunque incidenza causale, sul decesso del piccolo, del trauma cranico cagionato nella prima fase, a nulla rilevando dunque, sotto questo profilo, che il trauma cranico subìto dal bimbo ne avrebbe, con ogni probabilità, cagionato comunque la morte.
Sul piano soggettivo la ricostruzione del fatto operata dalla sentenza impugnata implica l’individuazione di due distinti elementi soggettivi, sottesi alle distinte condotte sopra indicate: – nella prima fase, la volontà di percuotere, alla base dello schiaffo (condotta), non accompagnata però dalla volontà di cagionare il trauma cranico (evento); – nella seconda fase, la volontà di occultare il ritenuto cadavere, non accompagnata dalla rappresentazione e dalla volizione di cagionare l’evento morte, a casa dell’errore sul fatto (art. 47, co. 1 c.p.) riguardante l’oggetto materiale della condotta.
Su quest’ultimo punto si deve evidenziare che è la stessa sentenza impugnata ad escludere anche l’ipotesi del dolo eventuale in capo a Tizia, posto che ella, come precisamente si afferma anche nel capo di imputazione, era convinta di avere ucciso il piccolo, il che esclude in radice la possibilità di configurare una qualunque forma di dolo omicidiario.
Del tutto infondata e intrinsecamente contraddittoria, appare dunque la sentenza nella parte in cui qualifica il fatto come omicidio volontario: di tale reato sussiste certamente il profilo oggettivo (la causazione dell’evento morte con la seconda delle indicate condotte), ma è del tutto carente l’elemento del dolo, non avendo Tizia voluto cagionare la morte di Sempronio, nemmeno nella forma del dolo eventuale.
Ne deriva altresì la non prospettabilità delle indicate aggravanti (motivi abietti o futili: artt. 61, n. 1 e 577, co. 1, n. 4 c.p.; 61, n. 5 c.p.: minorata difesa; 61, n. 11: abuso di relazioni domestiche), poiché trattasi di circostanze applicabili solo ai delitti dolosi.
2. Riqualificazione giuridica del fatto contestato ai sensi degli artt. 590, co. 2 (lesioni personali colpose gravi) e 589 (omicidio colposo) c.p.
Esclusa dunque la configurabilità del delitto di omicidio volontario aggravato, questa difesa ritiene che il fatto debba essere riqualificato come concorso del reato di lesioni personali colpose gravi (art. 582, co. 2, I pt. c.p) e del reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.), ma la dimostrazione dell’assunto impone alcune preliminari considerazioni in punto di diritto.
In base ad una visione superficiale ed errata, il fatto oggetto del processo può sembrare riconducibile alla problematica del c.d. dolo generale (o dolo colpito a mezza via dall’errore), categoria che, applicata all’omicidio, riguarda l’ipotesi in cui un soggetto realizza atti idonei e diretti a cagionare la morte di un uomo, la quale viene tuttavia cagionata, non già per effetto di tale condotta, ma, in via esclusiva, per effetto di una condotta successiva, sorretta dal convincimento della già realizzata produzione dell’evento morte e finalizzata a sopprimere od occultare il corpo della persona offesa, erroneamente ritenuto un cadavere, ma in realtà ancora in vita.
Come è noto, mentre una parte della dottrina, facendo applicazione proprio della teoria del dolo generale, ritiene che nel caso indicato il soggetto debba rispondere di omicidio volontario, la giurisprudenza ora dominante non aderisce a tale teoria, perché la ritiene contrastante con i principi generali in tema di oggetto del dolo, in quanto nelle fattispecie causalmente orientate il dolo deve avere ad oggetto l’ultimo atto che innesca la serie causale che sfocia nell’evento senza la necessità di un ulteriore intervento dell’agente, il che non ricorre nel caso indicato. La giurisprudenza ritiene dunque che non sia configurabile una responsabilità per omicidio volontario e che sussista invece un concorso del delitto di tentato omicidio (integrato dalla prima condotta) e del delitto di omicidio colposo (integrato dalla seconda condotta), sempre che di tali reati ricorrano anche tutti gli altri elementi costitutivi (cfr. Cass. I, 2.5.1988, n. 10535/88, Auriemma, Rv. 183896; Cass. I, 18.3.2003, n. 16976/03, Iovino, Rv. 224153; Cass. I, 17.11.2015, n. 15774/15, Mainetti, Rv. 266600; Cass. I, 29.4.2022, n. 34021/22, Rullo, Rv. 283574).
La tematica del dolo generale non risulta tuttavia pertinente rispetto al caso oggetto del presente processo, perché la condotta realizzata da Tizia nella prima fase non è sorretta dal dolo di omicidio: come detto, nel dare lo schiaffo al figlio Tizia non voleva assolutamente cagionarne la morte, onde già questo esclude la configurabilità del tentato omicidio, con la conseguenza che viene a mancare la base stessa per poter applicare la discussa categoria del dolo generale, alla quale sembra invece essersi ispirata la sentenza di condanna di primo grado, così cadendo in un errore sia di fatto, sia di diritto.
Il caso oggetto del processo richiama invece la fattispecie oggetto della nota sentenza Cass. V, 3.12.2003, n. 3946/04, Belquacem, Rv. 224903, che ha avuto il pregio di fornire alcune importanti puntualizzazioni in ordine al delitto di omicidio preterintenzionale di cui all’art. 584 c.p., poi confermate dalla giurisprudenza successiva (e.p. Cass. V, 21.1.2022, n. 15269/22, Bouimadaghen, Rv. 283016-01).
Oggetto del processo era la condotta tenuta da un soggetto che, in un primo momento e senza volontà di uccidere, aveva spinto a terra una donna provocandole la perdita dei sensi ed in un secondo momento, avendola creduta morta, per simularne il suicidio le aveva posto un cuscino sul volto ed aveva staccato il tubo del gas, cagionando con tali ulteriori condotte la morte della donna per soffocamento.
Con la richiamata sentenza il S.C. ha affermato il principio secondo il quale nel caso di specie non è ravvisabile il reato di omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) per la mancanza del nesso causale tra la condotta dolosa iniziale e l’evento morte, cagionato esclusivamente dalla condotta successiva di simulazione del suicidio: secondo il S.C. sono invece ravvisabili i distinti reati di percosse (o lesioni) e di omicidio colposo.
Evidente è l’applicabilità (pur con i necessari adattamenti) dell’esposto principio al caso oggetto del presente processo, caratterizzato dalla commissione, in un primo momento del reato di lesioni colpose (la causazione colposa del trauma cranico) ed in un secondo momento dalla commissione del reato di omicidio colposo, realizzato successivamente con una distinta condotta colposa, causativa in via esclusiva dell’evento morte.
La condotta realizzata da Tizia nella prima fase della vicenda integra, infatti, gli estremi del reato di lesioni colpose gravi (art. 582, co. 2, I pt. c.p.), posto che: – nella nozione di “percosse” rientrano anche gli schiaffi, in quanto intrinsecamente caratterizzati da energia fisica esercitata con violenza direttamente sulla persona, purché non siano produttivi di una malattia, ricadendosi in tal caso nel reato di lesioni (così Cass. III, 30.9.2014, n. 43316/14, R., Rv. 260988-01), come accaduto nel caso di specie; – il trauma cranico subìto da Sempronio ha integrato una malattia qualificabile come lesione grave, avendo determinato una situazione di pericolo di vita o comunque una malattia di durata superiore a quaranta giorni; – la colpa può essere ravvisata nell’esplicazione di un’energia fisica assolutamente sproporzionata rispetto alla condizione della persona offesa.
Quanto alla condotta realizzata da Tizia nella seconda fase della vicenda, essa, come detto, ha costituito la causa esclusiva della morte del piccolo Sempronio, realizzata senza dolo di omicidio, ma con violazione di elementari regole di diligenza e prudenza, richiedenti la verifica della vitalità del corpo del bimbo: di qui la ravvisabilità degli estremi del reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.), al quale non risultano però applicabili le circostanze aggravanti contestate in relazione al reato di omicidio volontario.
Si tratta dunque di due distinte condotte integranti distinti reati, sebbene entrambi connotati dalla natura colposa e realizzati nel medesimo contesto: questa conclusione è avvalorata dal principio estrapolabile dell’orientamento espresso dalla già citata sentenza Belquacem e dalla giurisprudenza successiva ad essa conforme.
3. Improcedibilità per il reato di lesioni colpose.
Rispetto al reato di lesioni volontarie gravi, si deve tuttavia rilevare che trattasi di reato procedibile a querela di parte (art. 590 u.c. c.p.), assoggettato, stante la tenera età della persona offesa e la pacifica condizione di conflitto di interessi dell’imputata, alla peculiare disciplina prevista dagli artt. 121 c.p. (il diritto di querela è esercitato da un curatore speciale) e 338 c.p.p. (il termine per la presentazione della querela decorre dal giorno in cui è notificato al curatore speciale il provvedimento di nomina).
Nel caso di specie non risulta che sia stato nominato un curatore speciale che abbia proposto la querela, ma in realtà lo stesso diritto di proporre querela (pur in nome e per conto della persona offesa) deve ritenersi estinto ai sensi dell’art. 126 c.p. a seguito della morte di Sempronio, avvenuta subito dopo la causazione delle lesioni, in conseguenza di una distinta condotta successiva di Tizia.
Va in proposito osservato che il S.C. ha affermato il principio secondo il quale “la nomina di un curatore speciale per l’esercizio del diritto di querela, nei casi regolati dall’art. 121 c.p., non trasferisce in capo all’interessato il diritto in questione, del quale resta titolare in via esclusiva la persona offesa dal reato, ma semplicemente lo abilita ad esercitarlo, con la conseguenza che, quando il diritto si estingue per la morte della persona nel cui interesse è stato nominato il curatore, questi non può validamente proporre la querela” (Cass. II, 17.9.2003, n. 40378/03, Fiorentino Rv. 228409–01).
Tale principio risulta a maggior ragione applicabile in un caso, come quello in esame, in cui la morte della persona offesa è avvenuta prima della nomina del curatore speciale.
4. Pena per il reato di omicidio colposo e benefici di legge.
Quanto al reato di omicidio colposo non occorrono molte parole per dimostrare che, nel caso di specie, siamo di fronte ad una vicenda drammatica, nella quale per Tizia l’afflittività della sanzione penale è ben poca cosa rispetto all’afflittività derivante da quanto accaduto ed a lei imputabile a titolo di colpa, sicché si può ben dire che per tutta la vita Tizia dovrà portare l’immane peso dell’avere colposamente causato la morte del figlio.
Basta questa considerazione per giustificare non solo la richiesta di applicazione del minimo della pena, ma anche la richiesta di concessione a Tizia, persona incensurata, delle circostanze attenuanti generiche e dei benefici di legge.
5. Applicazione del concorso formale.
In via meramente subordinata, ove la Corte non aderisse alla richiesta di declaratoria di improcedibilità per il reato di lesioni colpose gravi, questa difesa richiede che tale reato ed il reato di omicidio colposo siano unificati ai sensi dell’art. 81, co. 1 c.p. (concorso formale), dovendo interpretarsi l’espressione “con una sola azione o omissione” (caratterizzante il concorso formale di reati, applicabile anche ai reati colposi) come “medesimo episodio comportamentale”, conformemente all’opinione espressa da autorevole dottrina.
Ed invero, nel caso di specie, ben può ritenersi sussistente un medesimo episodio comportamentale, considerata la stretta connessione, anche temporale, esistente tra le due condotte colpose caratterizzati le due fasi della drammatica vicenda oggetto del processo.
Ne consegue l’applicabilità, nel caso di specie, del criterio del cumulo giuridico rispetto alle pene irrogabili per i due reati in questione, e ciò, per quanto sopra esposto, dovrà comunque comportare l’applicazione non solo del minimo della pena per la violazione ritenuta più grave, ma anche l’applicazione di un ridottissimo aumento della pena ai sensi dell’art. 81, co. 1 c.p.
CONCLUSIONI
per gli esposti motivi chiede
in via principale
che, in riforma dell’impugnata sentenza, la Corte di Assise di Appello, ritenuta l’insussistenza del reato di omicidio volontario aggravato, riqualifichi il fatto come concorso dei reati di lesioni colpose gravi e di omicidio colposo commessi ai danni di Sempronio e per l’effetto dichiari non doversi procedere nei confronti di Tizia in ordine al reato di lesioni colpose gravi per difetto di querela e, quanto al reato di omicidio colposo, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, condanni Tizia al minimo della pena con i benefici di legge;
in via subordinata
che in riforma dell’impugnata sentenza, la Corte di Assise di Appello, ritenuta l’insussistenza del reato di omicidio volontario aggravato, riqualifichi il fatto come concorso dei reati di lesioni colpose gravi e di omicidio colposo commessi ai danni di Sempronio e, applicate le attenuanti generiche, unificati i reati ai sensi dell’art. 81, co. 1 c.p., condanni Tizia al minimo della pena con i benefici di legge.
Con osservanza
Avv. ……………………
In Roma il …
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Atto di nomina ed elezione di domicilio
La sottoscritta Tizia, nata a …, nomina proprio difensore di fiducia l’Avv. …. del Foro di …, conferendogli ogni più ampia facoltà di legge, inclusa quella di proporre impugnazioni in ogni stato e grado del procedimento, presso il cui studio in …. elegge domicilio.
È vera ed autentica
Avv. _______
In Roma il …
Note
Sulle tematiche giuridiche coinvolte nella redazione dell’atto di appello si rinvia ai seguenti paragrafi del testo: Guido Piffer, Manuale di diritto penale giurisprudenziale, II ed., 2024, Pacini Giuridica:
- sull’oggetto del dolo e sull’errore sul fatto: cap. XII, 2.3;
- sul dolo generale: cap. XII, 2.2.10;
- sulla responsabilità per colpa: cap. XII, 3;
- sulla querela: cap. IX, 3.3.