ATTO DI DIRITTO PENALE
Svolgimento dell’atto assegnato: istanza di riesame
12.12.2023
Traccia assegnata
Tizio viene raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli, in quanto indagato in ordine al delitto di favoreggiamento personale aggravato (art. 378 co.2 c.p.), perché, in qualità di primario ortopedico presso un ospedale pubblico di Napoli, aveva gratuitamente e riservatamente assistito in tale struttura un pericoloso e celebre capo di una cosca camorristica latitante, la cui identità e situazione giuridica, universalmente nota, era a sua conoscenza.
Dalle indagini svolte era risultato, altresì, che Tizio non aveva effettuato alcuna annotazione della visita nei documenti ospedalieri.
Il candidato, assunte le vesti del difensore del sanitario indagato, rediga l’atto stimato opportuno soffermandosi sugli istituti e sulle problematiche sottese al caso in esame.
Svolgimento
Proc. pen. n. …. R.G.N.R.
ISTANZA DI RIESAME
TRIBUNALE DI NAPOLI IN FUNZIONE DI TRIBUNALE DEL RIESAME
Il sottoscritto Avv. …., del foro di …., con studio in …., quale difensore di fiducia (v. nomina in calce al presente atto) del Sig. Tizio, attualmente detenuto presso la Casa circondariale di Napoli in esecuzione dell’ordinanza del G.i.p. di Napoli in data …., propone istanza di riesame avverso l’indicata ordinanza cautelare ai sensi dell’art. 309 c.p.p. per i motivi di seguito esposti.
MOTIVI
1. Insussistenza di gravi indizi di colpevolezza stante la non configurabilità del contestato reato di favoreggiamento personale.
La contestazione a Tizio del reato di favoreggiamento personale aggravato ha ad oggetto, in punto di fatto, il comportamento consistito nell’avere, in qualità di primario ortopedico presso un ospedale pubblico di Napoli, gratuitamente e riservatamente visitato, in tale struttura, un pericoloso e celebre capo di una cosca camorristica, latitante, senza eseguire alcuna annotazione della visita nei documenti ospedalieri e pur essendo consapevole dell’identità e della condizione della persona visitata.
Giova sinteticamente premettere, in punto di diritto, che il delitto di favoreggiamento personale previsto dall’art. 378 c.p. ha come presupposto la commissione di un delitto o di una contravvenzione ed il non concorso negli stessi da parte del soggetto attivo.
Il bene giuridico tutelato dalla norma si identifica, secondo la prevalente interpretazione, nel regolare svolgimento del processo penale nel momento delle investigazioni e delle ricerche e, in generale, dell’accertamento e della repressione dei reati.
La condotta consiste nell’aiutare taluno ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche dell’Autorità: trattasi di condotte alternativamente previste quali modalità di realizzazione del medesimo reato, che si sostanziano in un aiuto alla realizzazione di una finalità altrui, consistente nell’impedimento in tutto o in parte del risultato al quale tendono le indagini o nella vanificazione delle attività finalizzate alla coercizione personale nell’ambito della giustizia penale.
Secondo l’orientamento prevalente in dottrina ed in giurisprudenza il favoreggiamento personale costituisce un reato di pura condotta, a forma libera e di pericolo, realizzabile con qualsiasi condotta diretta all’elusione delle investigazioni dell’Autorità o alla sottrazione alle ricerche della persona aiutata, non richiedendosi che tale finalità sia stata raggiunta. La condotta di aiuto, secondo la giurisprudenza, può assumere anche forma omissiva, ma, secondo l’opinione preferibile, in tal caso si richiede che il soggetto sia gravato da un obbligo giuridico di attivarsi.
È poi pacifico che la condotta deve essere astrattamente idonea allo scopo di consentire al soggetto favorito di eludere le indagini o di sottrarsi alle ricerche.
La fattispecie non richiede che la persona aiutata abbia commesso il reato presupposto (art. 378 u.c. c.p.).
È ricorrente, in dottrina e giurisprudenza, l’affermazione che il favoreggiamento personale è reato a dolo generico, consistente nella consapevolezza e volontà di aiutare taluno, dopo la commissione di un reato, ad eludere le investigazioni o a sottrasi alle ricerche dell’Autorità. Non si è tuttavia mancato di precisare in dottrina che in realtà il contenuto intenzionale del volere assume una spiccata dimensione finalistica, in quanto l’aiuto prestato è diretto a conseguire un risultato, rispetto al quale, nella fattispecie obiettiva, assume rilevanza soltanto il pericolo.
Dalla qualificazione del favoreggiamento personale come reato di pura condotta consegue che lo stesso si consuma con la realizzazione della condotta di aiuto, idonea allo scopo.
Il secondo comma dell’art. 378 c.p. prevede, quale circostanza aggravante, che il reato presupposto sia quello dell’associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis c.p. e secondo la costante giurisprudenza tale aggravante è compatibile con l’aggravante della finalità di agevolare l’attività delle associazioni mafiose di cui all’art. 416-bis.1 c.p., già prevista dall’art. 7, d.l. 13.5.1991, n. 152, conv. in l. 12.7.1991, n. 201 (e.p. Cass. VI 10.12.2013, n. 9735/14, Megale, Rv. 259106-01).
Ciò premesso, la specifica questione di diritto rilevante per una corretta valutazione del caso di specie riguarda i rapporti tra il reato di favoreggiamento personale e l’esercizio dell’attività medico chirurgica.
Sul punto si riscontra un consolidato orientamento giurisprudenziale (e.p. Cass. VI, 11.6.2015, n. 38281/16, Acanfora, Rv. 264608; Cass. VI, 5.4.2005, n. 26910/05, Di Fina, Rv. 231861; Cass. VI, 16.5.2002, n. 21624/02, Giampiero, Rv. 221946; Cass. V, 8.11.2012, n. 11879/13, Parente, Rv. 255329-01; conf. Cass. VI, 30.10.2001, Di Noto, n. 2998/02, CED 221161) così sintetizzabile:
– la primaria rilevanza costituzionale dei valori della vita e della salute e, conseguentemente, la doverosità della prestazione sanitaria professionale rendono esente da sanzione penale la condotta del sanitario che presti le cure in situazioni in cui il beneficiario delle stesse versa in una situazione di illegalità o in cui la patologia sia correlata a condotte illecite oggetto di attività di indagine;
-tuttavia il sanitario, chiamato ad esercitare il suo dovere professionale di tutela della salute, non può superare il limite della diagnosi e della terapia, ponendo in essere “condotte aggiuntive” di altra natura, che travalichino tale limite e siano soggettivamente ed oggettivamente finalizzate o all’elusione delle investigazioni dell’Autorità – coinvolgenti anche solo potenzialmente la persona assistita – o alla sottrazione della stessa alle ricerche dell’Autorità, essendo integrati, in tal caso, gli estremi del favoreggiamento personale;
– nel punire chiunque aiuta taluno a sottrarsi alle ricerche dell’Autorità, l’art. 378 c.p., non impone un obbligo di favorire le ricerche e le indagini: è per questo che, escluso ogni rilievo in sé alle cure sanitarie prestate, per la configurabilità del favoreggiamento personale da parte del sanitario sono richieste, come detto, “condotte aggiuntive” rispetto alla prestazione sanitaria.
Dall’esame della casistica giurisprudenziale emerge che, in applicazione di tale orientamento, è stato escluso che integri il reato di favoreggiamento personale: – la condotta del sanitario che si sia limitato a sottoporre un latitante ad un intervento chirurgico, a nulla rilevando che l’intervento sia stato eseguito presso l’abitazione del latitante (Cass. VI, 11.6.2015, Acanfora, cit; conf. Cass. VI, 16.5.2002, Giampiero, cit.); – la condotta del sanitario, chiamato ad assistere un latitante, che si sia limitato a fare la diagnosi della malattia e ad indicare la relativa terapia, senza porre in essere “condotte aggiuntive” di altra natura, non rientrando in tale categoria di condotte la mancata registrazione, in atti privati o in atti pubblici, della visita effettuata, non violando tale omissione l’obbligo del referto ed integrando la stessa, al più, una mera irregolarità amministrativa, che prescinde dalla qualità del soggetto al quale l’assistenza è stata prestata (Cass. VI, 5.4.2005, Di Fina, cit.).
Per contro, sempre in applicazione dell’esposto orientamento, la giurisprudenza ha ritenuto integrare il reato di favoreggiamento personale: – la condotta del sanitario che, chiamato ad assistere un latitante, assuma a questo scopo cautele utili a preservare gli accorgimenti adottati dall’interessato per sottrarsi alle forze di polizia, quali l’avere spento il proprio telefono cellulare per tre giorni per raggiungere il latitante all’estero (Cass. V, 8.11.2012, Parente, cit.; Cass. VI, 30.10.2001, Di Noto, cit.); – la condotta del sanitario che non si limiti ad omettere il dovuto referto, ma, estratto un proiettile ad un ricercato rimasto ferito nel corso di un’azione delittuosa, compili la cartella clinica concernente l’intervento operatorio eseguito, intestandola a un falso nome (Cass. VI, 15.3.1985, Pelosio, n. 5446/85, CED 169517).
L’applicazione di tale orientamento giurisprudenziale al caso di specie comporta di necessità la non configurabilità del reato di favoreggiamento personale contestato a Tizio, già sotto il profilo oggettivo, in quanto: – Tizio si è limitato a sottoporre il latitante ad una semplice visita medica senza realizzare (per usare la categoria elaborata dalla giurisprudenza) alcun “comportamento aggiuntivo” rispetto alla prestazione sanitaria; – non può infatti ritenersi tale l’omessa annotazione della visita nei documenti ospedalieri, non avendo Tizio violato, con tale omissione, alcun obbligo giuridico (in termini, Cass. VI, 5.4.2005, Di Fina, cit.); – del pari non può qualificarsi come “comportamento aggiuntivo” l’avere Tizio omesso di redigere il referto, sia perché egli non aveva esercitato la professione sanitaria in un caso che poteva presentare i caratteri di un delitto procedibile d’ufficio (art. 365, co. 1 c.p.), sia perché, quand’anche non si condividesse tale assunto, sarebbe comunque applicabile l’art. 365, co. 2 c.p., che esclude l’obbligo di referto quando esso esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.
Breve: Tizio, pur consapevole della condizione di latitanza del soggetto visitato e del suo ruolo di capo di una cosca camorristica, si è limitato a sottoporlo ad una visita medica, senza realizzare “condotte aggiuntive” di aiuto alla sottrazione alle ricerche, a nulla rilevando dunque, agli effetti dell’integrazione della fattispecie incriminatrice, per come interpretata dalla costante giurisprudenza, che l’omessa annotazione della visita nei documenti ospedalieri abbia obiettivamente evitato il rischio di identificazione del latitante.
Per quanto esposto si chiede dunque l’annullamento dell’ordinanza impugnata perché il fatto non integra gli estremi del contestato reato di favoreggiamento personale aggravato, né di alcun altro reato, onde non sussiste il primo, imprescindibile, presupposto per l’applicazione di qualunque misura cautelare, costituito dalla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato contestato (art. 273, co. 1 c.p.p.).
2. Insussistenza di esigenze cautelari.
Fatto salvo quanto si dirà in seguito in ordine all’inapplicabilità della misura della custodia in carcere in base al disposto dell’art. 280 c.p.p. (v. sub 3), questa difesa contesta in radice la sussistenza di esigenze cautelari che giustifichino l’adozione di una misura cautelare.
Quanto al ritenuto pericolo di inquinamento delle prove (art. 274, co. 1, lett. a c.p.p.) è sufficiente osservare che la prova del fatto in contestazione può dirsi ormai acquisita in termini inconfutabili e senza necessità di ulteriori approfondimenti di indagine: che Tizio abbia visitato il latitante è infatti “documentalmente” dimostrato dai filmati delle telecamere acquisiti agli atti, i quali hanno reso agevole anche l’immediata identificazione del latitante; Tizio ha inoltre ammesso i fatti, affermando di avere ritenuto preminente il suo dovere di sanitario di prestare ad ognuno le cure necessarie per la tutela della propria salute.
Quanto al pericolo di fuga (art. 274, co. 1, lett. b c.p.p.), trattasi di ipotesi sfornita di qualunque concretezza, considerato che Tizio è persona stabilmente radicata – sotto il profilo familiare e lavorativo – nel proprio luogo di residenza e considerato altresì che un’eventuale fuga non sarebbe nemmeno realizzabile in concreto, non avendo Tizio né i mezzi economici né le relazioni personali a tal fine necessari. Si aggiunga poi che una fuga sarebbe del tutto insensata, perché foriera solo di gravi conseguenze negative (si pensi solo alla perdita di una consolidata e prestigiosa posizione professionale), senza alcun concreto vantaggio, tanto più se si considera che, come si dirà (v. sub 4), anche nel caso in cui fosse condannato Tizio potrebbe certamente beneficiare della sospensione condizionale della pena.
Quanto al pericolo di reiterazione di reati (art. 274, co. 1, lett. c c.p.p.), lo stesso non sussiste sol che si consideri la personalità di Tizio (uno stimato professionista, incensurato, mai coinvolto in indagini di alcun tipo) ed il carattere occasionale, estemporaneo ed isolato del fatto in contestazione: tali elementi dimostrano che il comportamento di Tizio è stato motivato esclusivamente dal desiderio di garantire anche al latitante il soddisfacimento del diritto alla salute (come da lui stesso ammesso), con modalità che non sono certo indicative di una personalità criminale.
Di ciò è del resto prova inequivoca la pacifica mancanza di qualunque legame di Tizio con la realtà criminale camorristica facente capo alla persona visitata, come dimostrato “per tabulas” dalla mancata contestazione di condotte di contiguità a tale realtà criminale e, segnatamente, non solo dalla mancata contestazione del reato di concorso esterno, ma anche dalla mancata contestazione, rispetto allo stesso reato di favoreggiamento personale, dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1, co. 1 c.p. che, come già ricordato (v. sub 1), secondo la giurisprudenza è applicabile anche al reato di favoreggiamento personale aggravato ai sensi dell’art. 378, co. 2 c.p.
Si chiede dunque l’annullamento dell’ordinanza impugnata per l’insussistenza di esigenze cautelari che la giustifichino ai sensi dell’art. 274 c.p.p.
3. Inapplicabilità della misura della custodia in carcere.
In ogni caso la misura della custodia in carcere è inapplicabile, perché ai sensi dell’art. 280 c.p.p. tale misura può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (co. 1) o, in deroga a tale norma generale, per il delitto di finanziamento illecito dei partiti (co. 2) o per i delitti di cui agli artt. 387 bis e 582 c.p. nelle ipotesi indicate nel co. 3 bis o nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare (co. 3).
Ora, premesso che nel caso di specie pacificamente non viene in considerazione nessuno dei delitti rientranti nelle indicate ipotesi derogatorie, per il delitto di favoreggiamento aggravato contestato a Tizio non può essere applicata la misura della custodia in carcere, perché esso non rientra nella previsione normativa di carattere generale di cui all’art. 280, co. 1 c.p.p., in quanto trattasi di delitto punito con la pena massima di quattro anni di reclusione e quindi con una pena della reclusione inferiore, nel massimo, a cinque anni.
Anche sotto questo profilo si impone dunque l’annullamento dell’ordinanza cautelare impugnata.
4. Applicabilità di una misura meno afflittiva e segnatamente dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
In via meramente subordinata, nella denegata ipotesi in cui il Tribunale non intendesse annullare l’ordinanza impugnata per i motivi sopra esposti e ritenesse sussistenti esigenze cautelari, si chiede che, in riforma dell’ordinanza impugnata, la misura della custodia in carcere venga sostituita con una misura meno afflittiva e segnatamente con la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p.).
Tale misura è senza dubbio idonea a soddisfare le ritenute esigenze cautelari ai sensi dell’art. 275, co. 1 c.p.p. ed è altresì proporzionata all’entità del fatto ed alla sanzione prospettabile, come richiesto dall’art. 275, co. 2 c.p.p.: essa garantisce infatti la sottoposizione di Tizio ad un adeguato controllo e costituisce per lo stesso un costante monito a rispettare la legge ed a non interferire negativamente nel processo.
Sempre in ordine alla scelta di una misura meno afflittiva, la cui applicazione è prospettata, come detto, in via di estremo subordine, questa difesa evidenzia che, nel caso in esame, è comunque inapplicabile la più grave misura degli arresti domiciliari, perché ai sensi dell’art. 275, co. 2 c.p.p. la stessa non può essere applicata, “se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena”.
Ora, non pare contestabile che, nella pur denegata ipotesi di un’eventuale condanna per il reato contestato, Tizio potrebbe certamente beneficiare della sospensione condizionale della pena, apparendo ragionevole ritenere che la pena sarebbe contenuta nel limite dei due anni di reclusione (considerato che l’ammissione del fatto da parte di Tizio già di per sé giustifica l’applicazione delle attenuanti generiche) e che sarebbe certamente formulato un giudizio prognostico favorevole ai sensi dell’art. 164, co. 1 c.p., attesa l’incensuratezza dell’imputato, il suo comportamento processuale, l’occasionalità del fatto e la mancanza di qualunque legame con la criminalità organizzata.
CONCLUSIONI
Per gli esposti motivi si chiede:
– in via principale l’annullamento dell’ordinanza impugnata per mancanza di gravi indizi di colpevolezza o per insussistenza di esigenze cautelari o per inapplicabilità della misura della custodia in carcere;
– in via subordinata la riforma dell’ordinanza impugnata con la sostituzione della custodia in carcere con la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria o con altra misura meno afflittiva, esclusa la misura degli arresti domiciliari.
Con osservanza
Avv. ……………………
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Atto di nomina ed elezione di domicilio
Il sottoscritto Tizio, nato a …., nomina proprio difensore di fiducia l’Avv. …. del Foro di …., conferendogli ogni più ampia facoltà di legge, inclusa quella di proporre impugnazioni in ogni stato e grado del procedimento, presso il cui studio in ….elegge domicilio.
È vera ed autentica
Avv. _______