TEMA DI DIRITTO PENALE
Concorso a 400 posti di magistrato ordinario
24.01.2024
Traccia estratta
Diritto di critica, diritto di cronaca e diritto alla riservatezza. Il candidato esamini il rapporto tra libertà di pensiero e il reato di diffamazione anche con riferimento all’utilizzo dei social network.
Svolgimento
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, espresso anche da sentenze delle Sezioni unite e della Corte costituzionale, il diritto di cronaca è il diritto di pubblicare la cronaca dei fatti, riguardanti qualunque campo di attività avente un rilievo pubblico (politica, giustizia, arte, cultura, sport, ecc.), mentre il diritto di critica è il diritto di esternare giudizi rispetto a fatti e persone riguardanti tali campi di attività.
Entrambi i diritti trovano fondamento nell’art. 21 Cost., in quanto espressione del diritto costituzionale di libera manifestazione del pensiero, nel cui ambito assume primaria importanza la libertà di stampa, esercitabile attraverso i più diversi mezzi di comunicazione: dal riconoscimento di tale libertà dipende infatti la democraticità dell’ordinamento e la possibilità di una reale partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica; di qui la riconosciuta funzione sociale dei diritti in questione.
Trattasi di diritti riconosciuti anche a livello sovranazionale: così il diritto alla libertà di espressione e di informazione è riconosciuto ad es. dall’art. 11 CDFUE e dall’art. 10 Cedu, e proprio appellandosi a quest’ultima disposizione la Corte EDU, pur avendo riconosciuto che tale diritto non è assoluto, ha ritenuto che, salvo che ricorrano circostanze eccezionali, esso è incompatibile con la previsione di una pena detentiva per un reato commesso a mezzo stampa, in quanto potrebbe essere compromessa la funzione di libera informazione alla quale i giornalisti adempiono nei sistemi democratici.
Sulla base di tale principio, applicato da sentenze di condanna dell’Italia pronunciate dalla Corte EDU, la Corte costituzionale, con sentenza n. 150 del 2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 21 Cost. e 10 CEDU, dell’art. 13 l. 8.2.1948, n. 47 (legge sulla stampa), che prevede la pena congiunta della reclusione e della multa per la diffamazione a mezzo stampa consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, mentre ha dichiarato non fondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 595, co. 3 c.p., perché prevede la pena della reclusione come alternativa alla pena della multa.
Si deve tuttavia ricordare che appare ormai consolidato in giurisprudenza l’orientamento che tende a riconoscere l’applicabilità dei diritti di cronaca e di critica anche oltre l’ambito dell’attività di stampa svolta in forma professionale: si è così sostenuto che tali diritti, quale espressione del diritto di libera manifestazione del pensiero, devono essere riconosciuti ad ogni individuo “uti civis”, il quale può esercitarlo ad es. attraverso l’esposizione, su Internet ed in generale sui Social Network, di fatti o di giudizi su tematiche aventi rilevanza pubblica.
Come per ogni diritto avente rilevanza costituzionale, anche i diritti di cronaca e di critica presentano limiti interni e limiti esterni.
Tre sono i limiti interni sui quali si basano, secondo la comune opinione, i diritti in esame: (a) la verità del fatto narrato o oggetto di critica; (b) l’esistenza di un interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); (c) la correttezza della forma espositiva (c.d. continenza).
Quanto al limite della verità del fatto (che secondo la costante giurisprudenza non può essere sostituito dalla veridicità o dalla verosimiglianza del fatto), rispetto al diritto di cronaca esso assume rilevanza oggettiva, nel senso che per definizione la cronaca, per essere tale, deve riguardare fatti rispondenti al vero.
Per contro, rispetto al diritto di critica il requisito in esame si atteggia in termini peculiari, perché la critica, implicando per definizione l’esternazione di un giudizio necessariamente soggettivo ed opinabile, non può pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica: ne consegue che il limite della verità non riguarda la critica in sé, ma il fatto oggetto della critica. Così la critica mossa ad es. ad un pubblico amministratore non è legittima se ha alla base l’attribuzione allo stesso di comportamenti da lui non compiuti.
Quanto al limite della pertinenza, esso si fonda sulla necessità che il fatto presenti una rilevanza sociale, perché solo questo può giustificare la prevalenza dei diritti in esame rispetto ad interessi ritenuti subvalenti. Al requisito dell’interesse pubblico, quale limite interno del diritto di cronaca, fa espresso riferimento ad es. l’art. 137 d.lgs. n. 196/03 (Codice in materia di protezione dei dati personali).
Quanto al limite della continenza, esso sottende la necessità che i diritti in esame siano esercitati in forme che non siano inutilmente offensive dell’altrui reputazione.
Trattasi di limite che naturalmente va declinato tenendo conto del campo di attività e del contesto in cui la critica viene esercitata, nonché della forma espressiva utilizzata. Così ad es., in tema di critica politica, secondo la costante giurisprudenza è consentito l’uso di toni aspri e di disapprovazione, fermo restando che la critica non deve trasmodare nell’attacco personale e nella pura contumelia; ed ancora, rispetto alla satira, si deve tener conto che il linguaggio satirico è essenzialmente simbolico e paradossale, fermo restando che la persona non può essere esposta al ludibrio della sua immagine ed al disprezzo.
Quanto ai c.d. limiti esterni, i diritti di cronaca e di critica risultano soccombenti a fronte della necessità di tutelare interessi prevalenti, aventi rilevanza costituzionale.
Così l’art. 21 u.c. Cost. prevede esplicitamente il limite del buon costume, disponendo che sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume, mentre un limite esterno è stato ravvisato dalla giurisprudenza ad es. nell’art. 604-bis c.p. che punisce il reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa.
Altrettanto è a dirsi, in generale, per le norme che tutelano i segreti, ma va ricordato che è controversa in giurisprudenza la prevalenza del diritto di cronaca sull’interesse protetto dall’art. 684 c.p. che prevede il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. Come è noto, la materia forma attualmente oggetto di atti normativi all’attenzione del Parlamento.
Quanto al diritto alla riservatezza, trattasi di diritto della personalità che attiene alla sfera intima della persona, in quanto impone la non conoscenza da parte di terzi e la non divulgazione di aspetti della vita attinenti alla sfera privata dell’individuo.
Il diritto alla riservatezza presenta una rilevanza costituzionale con riferimento a singoli aspetti nei quali esso si estrinseca (es. domicilio: art. 14 Cost.; libertà e segretezza della corrispondenza: art. 15 Cost.) e la sua tutela sul piano penalistico è garantita, in forma frammentaria, da plurime fattispecie incriminatrici riguardati la riservatezza del domicilio (es. artt. 614 e 615 c.p.), della vita privata (es. art. 615 bis c.p.), della corrispondenza e delle comunicazioni anche informatiche (es. artt. 616 ss. c.p.), del contenuto di documenti e di segreti (es. artt. 621 ss. c.p.).
Il diritto alla riservatezza della vita privata presenta una stretta connessione con i diritti di cronaca e di critica, innanzitutto perché esso risulta soccombente rispetto all’esercizio di tali diritti, qualora di essi siano stati rispettati i limiti interni e segnatamente il limite dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto: ad es. il politico non può dolersi che siano oggetto di cronaca e di critica atti della sua vita privata, poiché la dimensione pubblica della sua persona implica l’interesse pubblico alla conoscenza anche di tali atti, dovendo i consociati conoscere la personalità di chi è investito di funzioni pubbliche e di chi partecipa alle competizioni elettorali; ciò non vale invece per la persona che non ha alcun ruolo pubblico di natura politica o di altra natura.
Per contro, la preminenza del diritto alla riservatezza riemerge qualora ricorrano gli estremi del c.d. diritto all’oblio, il quale implica il venir meno dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, quale oggetto di cronaca o di critica.
Secondo la giurisprudenza ormai consolidata il diritto all’oblio si sostanzia infatti nell’interesse del soggetto a pretendere che le proprie passate vicende personali non siano pubblicamente rievocate ed è invocabile ogniqualvolta il passare del tempo abbia ormai reso non più di interesse pubblico la narrazione di un fatto o la critica del suo autore, in passato legittimamente pubblicate: ne consegue la prevalenza del diritto alla reputazione ed alla riservatezza del soggetto coinvolto rispetto ai diritti di cronaca e di critica.
È fatta naturalmente salva l’ipotesi che, nonostante il decorso del tempo, l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto si riattualizzi in seguito al verificarsi di avvenimenti più recenti che, per il loro collegamento con il fatto più antico, rendono nuovamente attuale l’interesse alla narrazione ed alla valutazione di quest’ultimo.
Venendo allo specifico tema del rapporto tra la libertà di pensiero ed il delitto di diffamazione, assume rilevanza la categoria delle scriminanti.
L’esercizio dei diritti di cronaca o di critica, espressione della libertà di pensiero tutelata dall’art. 21 Cost., integra infatti la scriminante dell’esercizio del diritto prevista dall’art. 51 c.p., sempre che siano rispettati i loro limiti interni ed esterni: in tal caso il fatto non è dunque più qualificabile come reato, essendone esclusa l’antigiuridicità.
La scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca o del diritto di critica si applica pacificamente al delitto di diffamazione di cui all’art. 595 c.p.: la tutela apprestata dalla norma incriminatrice al bene giuridico della reputazione (intesa, secondo l’impostazione tradizionale, come il riflesso oggettivo dell’onore, quale stima o opinione che gli altri hanno della persona), non fonda infatti un limite esterno a tali diritti, perché la tutela dell’interesse sotteso alla libertà di pensiero ha carattere preminente.
Si deve al riguardo sinteticamente ricordare che il delitto di diffamazione si basa sulla tipizzazione di una condotta che, fuori dei casi di ingiuria (reato ora depenalizzato, integrato dall’offesa dell’onore o del decoro di una persona presente o mediante una comunicazione alla stessa con qualsiasi mezzo), offende l’altrui reputazione, comunicando con più persone (almeno due).
Quanto al requisito della presenza dell’offeso, che caratterizza l’ingiuria ed esclude la diffamazione, la Cassazione ha precisato che esso ricorre non solo quando offensore e offeso siano fisicamente presenti, ma anche quando lo sono solo “virtualmente”, in forza delle moderne tecnologie di comunicazione, e sempre che sussista tra gli stessi la possibilità di un’immediata interlocuzione diretta.
La diffamazione è reato istantaneo e di evento, consistente nell’evento psicologico della percezione della comunicazione offensiva da parte delle persone a cui è rivolta, non richiedendosi tuttavia che si sia effettivamente verificato il pregiudizio alla reputazione.
Il reato è punito a titolo di dolo, che ha natura di dolo generico.
Il reato si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica detto evento della percezione della comunicazione offensiva.
Specifiche aggravanti sono previste dall’art. 595 c.p.: se il fatto consiste nell’attribuzione di un fatto determinato (co. 2), se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico (co. 3), se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio (co. 4).
Le modalità della comunicazione integrante gli estremi della diffamazione possono essere le più varie e possono avvenire anche attraverso i moderni mezzi di comunicazione di massa, tra i quali assumono una peculiare rilevanza i social network (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook): trattasi della c.d. diffamazione telematica che presenta alcuni aspetti peculiari.
Innanzitutto la giurisprudenza ha evidenziato che, fermo restando che il reato si perfeziona con la percezione della comunicazione offensiva, quando il reato è realizzato mediante l’immissione della stessa nel web, la sua diffusione si presume fino a prova contraria, il che rileva ad es. agli effetti della determinazione del dies a quo del termine per la proposizione della querela o del termine di prescrizione del reato.
Dalla natura della diffamazione come reato di evento deriva poi che, una volta che il messaggio lesivo sia stato percepito anche sul territorio nazionale, si radica la giurisdizione del giudice nazionale, anche se l’immissione in rete è avvenuta all’estero.
Inoltre, secondo la costante giurisprudenza, la diffamazione commessa tramite internet è aggravata ai sensi dell’art. 595, co. 3 c.p. in quanto commessa “con altro mezzo di pubblicità”, diverso dalla stampa: internet ed in generale i social network non sono infatti qualificabili come “stampa”, salvo che ricorra un’attività di informazione professionale diretta al pubblico (es. i giornali online).
In particolare l’aggravante è stata ravvisata nel caso di diffamazione commessa mediante pubblicazione su pagine Facebook, in quanto accessibili ad un numero indeterminato di soggetti con la sola registrazione al social network o comunque accessibili ad un numero quantitativamente apprezzabile.
È stata invece esclusa la configurabilità dell’aggravante in esame nel caso di diffusione di un messaggio offensivo in una chat dell’applicazione whatsapp, trattandosi di strumento di comunicazione destinato a un numero ristretto di persone e privo della necessaria diffusività.
Per costante giurisprudenza, nell’ambito dei social network non trova applicazione l’art. 57 c.p., per il divieto di applicazione analogica “in malam partem” (ad es. non si applica all’amministratore di un sito internet) e la prevalente giurisprudenza esclude inoltre – basandosi anche sulla disciplina normativa del settore – che ad es. il titolare di un Internet point rivesta una posizione di garanzia rilevante ai sensi dell’art. 40, co. 2 c.p., in grado di fondare un concorso mediante omissione nel reato di diffamazione commesso dall’utente, e ciò anche per la mancanza di effettivi poteri impeditivi e di controllo.
Tuttavia, la giurisprudenza più recente ha riconosciuto che il gestore di un sito internet o il blogger sono gravati da un obbligo di rimozione dei contenuti diffamatori pubblicati da terzi, una volta acquisitane la conoscenza, ed ha affermato che l’omessa rimozione equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell’altrui reputazione e consente l’ulteriore diffusione dei commenti diffamatori. Tale orientamento non ha mancato di suscitare alcune perplessità in dottrina, nella misura in cui esso finisce per prospettare una sorta di concorso nel reato di diffamazione, mediante una condotta omissiva che è successiva alla ormai intervenuta consumazione del reato, avente natura istantanea.
Tornando ai rapporti tra l’esercizio del diritto di cronaca o del diritto di critica, quale scriminante del reato di diffamazione, si deve innanzitutto osservare che, trovando applicazione la disciplina generale delle scriminanti, risulta applicabile l’art. 59, u.c. c.p. che attribuisce rilevanza alla scriminante putativa.
Rispetto ai diritti scriminanti in esame tale fattispecie trova generalmente applicazione con riferimento al requisito della verità del fatto oggetto della cronaca, con l’avvertenza tuttavia che, pur essendo il reato di diffamazione punito solo a titolo di dolo, secondo la costante giurisprudenza (avallata anche dalle Sezioni unite) l’erroneo convincimento della verità del fatto esclude la punibilità solo se è scusabile, cioè solo se non è colposo: secondo questa consolidata interpretazione “correttiva” dell’art. 59, u.c. c.p., il riconoscimento della scriminante putativa del diritto di cronaca richiede dunque che sia riscontrata la cura posta da chi la invoca nel verificare la verità dei fatti narrati, al fine di vincere ogni dubbio ed incertezza.
Vanno poi evidenziate alcune problematiche peculiari riguardanti l’applicazione della scriminante della libertà di manifestazione del pensiero al delitto di diffamazione.
Quanto all’ambito di applicazione della scriminante del diritto di cronaca, secondo la giurisprudenza prevalente essa è applicabile solo ai reati commessi con la pubblicazione della notizia e non anche ad eventuali reati compiuti al fine di procacciarsi la notizia medesima (es. ricettazione, sostituzione di persona, violenza privata, inosservanza di provvedimenti dell’autorità). Ciò in quanto il riconoscimento della prevalenza della libertà di manifestazione del pensiero è funzionale a rendere lecito non qualsiasi fatto penalmente rilevante e lesivo di qualsivoglia bene giuridico, bensì solo fatti che ledono proprio quell’interesse alla reputazione e all’onore, che è posto in bilanciamento con la libertà di manifestazione di pensiero.
Quanto al limite interno della verità del fatto oggetto della cronaca, relativamente al delitto di diffamazione esiste un’ampia casistica giurisprudenziale, dalla quale possono ricavarsi i seguenti principi: – può non rispettare il requisito della verità anche la c.d. mezza verità, che ricorre quando la notizia pubblicata è vera, ma incompleta; – nel caso di accostamento di notizie vere è necessario valutare il significato complessivo ricavabile dal testo pubblicato, potendo tale accostamento produrre un ulteriore significato che acquisisce autonoma valenza lesiva; – non rilevano marginali e modeste inesattezze nella pubblicazione della notizia.
Va poi ricordato che il riconoscimento della scriminante del diritto di cronaca e del diritto di critica, avente rilievo costituzionale, ha comportato un drastico ridimensionamento della c.d. “exceptio veritatis” prevista dall’art. 596 c.p. ed applicabile al delitto di diffamazione.
Tale norma prevede un’articolata disciplina delle limitazioni alla prova della verità del fatto, la cui attribuzione ad una persona determinata integra gli estremi del delitto di diffamazione, ma secondo la giurisprudenza tali limitazioni non operano quando la prova della verità del fatto è finalizzata alla dimostrazione degli estremi della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca o di critica: se così non fosse il diritto di libertà di manifestazione del pensiero verrebbe vanificato.
Una peculiare fattispecie che ha imposto un approfondimento dei rapporti tra diritto di cronaca e diffamazione riguarda la responsabilità del giornalista che pubblica un’intervista avente contenuto diffamatorio. In proposito le S.u. hanno precisato che il diritto di cronaca scrimina il giornalista quando il fatto in sé dell’intervista, per la notorietà dell’intervistato e per l’oggetto delle sue dichiarazioni, presenta di per sé un interesse pubblico, sempre che il giornalista abbia mantenuto una posizione di terzo imparziale e non sia stato dunque un dissimulato coautore delle dichiarazioni diffamatorie dell’intervistato.
Osservazioni
Il tema è stato svolto presupponendo un’adeguata conoscenza delle categorie di parte generale e delle nozioni fondamentali riguardanti gli argomenti specifici oggetto del tema, in base al livello di preparazione richiesto al candidato nel concorso per magistrato ordinario.
Si è tenuto altresì conto che il tema non è finalizzato a dimostrare, nozionisticamente, la conoscenza dell’“ultima sentenza della Cassazione” sull’argomento, ma a dimostrare principalmente che il candidato è in grado di trattare l’argomento assegnato applicando, secondo un corretto metodo giuridico, le categorie che caratterizzano il diritto penale soprattutto a livello di parte generale, argomentando in modo adeguato le soluzioni interpretative prospettate.
È infatti questa capacità metodologica che è richiesta al magistrato nell’esercizio della giurisdizione, essendo egli chiamato a risolvere problemi interpretativi e applicativi sempre nuovi ed in contesti normativi spesso diversi da quelli vigenti nel momento della sua formazione.
Nel merito, la traccia del tema risulta articolata su due frasi distinte: la prima si presenta come una sorta di “titolo” (“Diritto di critica, diritto di cronaca e diritto alla riservatezza”), mentre la seconda indica esplicitamente un oggetto di trattazione (“Il candidato esamini il rapporto tra libertà di pensiero e il reato di diffamazione anche con riferimento all’utilizzo dei social network”).
L’unica interpretazione ragionevole della traccia del tema sembra tuttavia quella che “fonde” le due frasi, cogliendo gli argomenti in esse indicati nella loro reciproca connessione, con l’avvertenza che il riferimento al diritto alla riservatezza contenuto nella prima parte del titolo evoca una problematica molto ampia ed in gran parte eccentrica rispetto alla libertà di pensiero, onde, considerato che quest’ultima costituisce la categoria che indiscutibilmente caratterizza il titolo del tema, la trattazione del diritto alla riservatezza va limitata ai profili della stessa attinenti al rapporto con la libertà di pensiero.
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Per una trattazione degli argomenti oggetto del tema si rinvia a G. Piffer, Manuale di diritto penale giurisprudenziale. Parte generale, Pacini, 2023:
- cap. II,4.4.2.6 (art. 10 CEDU e Corte cost. n. 150/21);
- cap. XI,3.2 (diritto di cronaca e diritto di critica come scriminanti: limiti interni ed esterni; applicabilità nel caso di intervista; il problema della applicabilità ai reati strumentali);
- cap. IV,3.2.4 e cap. X,2.1.8 (inapplicabilità dell’art. 57 c.p. all’amministratore di un sito internet; inesistenza di una posizione di garanzia in capo al gestore di un internet point e al blogger; obbligo di rimozione di contenuti diffamatori);
- cap. X,3.1.2, 4.1 e cap. XVI,6.3 (diffamazione: evento, consumazione, diffamazione a mezzo sito web)
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